Accadde 700 anni fa

Pubblicato il 02-09-2020

di Renato Bonomo

Il primo episodio di violenza contro gli ebrei avvenne a Tolosa, in Francia, nell’aprile del 1348. Una quarantina di membri della locale comunità israelitica vennero accusati di essere responsabili della diffusione della peste e ferocemente trucidati. Alcuni giorni dopo, le violenze si diffusero rapidamente in tutta la Francia meridionale, in Catalogna e Aragona, accompagnate spesso da spogliazione di beni. Sono passati quasi settecento anni dalla diffusione della peste nera in Asia e in Europa, ma, se andiamo a leggere le cronache del tempo, scopriamo che l’umanità conserva una serie di comportamenti che differiscono solo per il contesto storico in cui vengono attuati, ma non per la loro natura. Nonostante siano passati tanti secoli, la ricerca dei colpevoli a cui attribuire la responsabilità di un’epidemia è ancora in voga e riguarda anche gli “altissimi livelli”, pronti a denunciare all’opinione pubblica mondiale il “virus cinese”.

Nonostante lo sviluppo tecnico e scientifico impressionante, la nostra generazione ha scoperto i limiti della nostra conoscenza e l’impreparazione di fronte ad un virus totalmente sconosciuto ai nostri sistemi immunitari. E così non siamo riusciti ad anticipare la malattia e siamo stati costretti, come era avvenuto nel passato, ad inseguire la malattia. Rispetto al medioevo abbiamo sicuramente più possibilità di rispondere con rapidità ed efficacia, ma tutti abbiamo percepito un certo senso di precarietà esistenziale a cui non eravamo abituati. Senso di fragilità ben presente invece a gran parte delle generazioni precedenti. Oggi come allora, ad avere un ruolo centrale è il lutto che può colpire tutti indistintamente. È ovvio che anche nel medioevo chi aveva più risorse, aveva più possibilità di evitare il contagio. Ma in caso di malattia, le possibilità di sopravvivenza erano le stesse per i ricchi come per i poveri.

Lasciamo ad un testimone diretto del tempo il racconto della tremenda sofferenza di quei giorni. Nella “Cronaca Senese” del 1348, l’autore stesso termina la sua opera scrivendo: «E io Agnolo di Tura detto il grasso, sotterrai 5 miei figliuoli co’ le mie mani; e anco fuoro di quelli che furono si mal cuperti di terra, che li cani ne trainavano e mangiavano molti corpi, per la città». La peste bubbonica aveva un tasso di mortalità pari al 90% delle persone colpite, molto superiore rispetto al Covid-19, ma questo è un dato poco interessante, quasi irritante per chi ha perso una persona cara. Oggi come allora, la sofferenza non si misura e non dipende dalla quantità.

Se vogliamo continuare sulla scia del confronto tra passato e presente, possiamo infine ricordare che, alla durezza della crisi del Trecento, attraversata anche da guerre, carestie e crisi politiche, gli uomini del tempo reagirono con creatività cercando di costruire sulle macerie forme nuove di relazioni sociali, politiche economiche. Settecento anni dopo, anche noi, che stiamo attraversando un tempo di pandemie, di guerre e di carestie che toccano gran parte dell’umanità, abbiamo la possibilità di ripensare nuovi spazi, nuove relazioni, nuove opportunità.

Renato Bonomo
NP giugno / luglio 2020

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