A un tornante della storia

Pubblicato il 29-06-2022

di Vittorio Emanuele Parsi

La guerra è tornata al centro dell’Europa, in una forma – quella del conflitto tra Stati sovrani, che si riconoscono reciprocamente come tali – cui non credevamo di dover più assistere, dopo la Seconda guerra mondiale. Il sostegno va all’Ucraina e alle sofferenze del suo popolo coraggioso che lotta per preservare la sua indipendenza, ottenuta formalmente trent’anni fa, con la dissoluzione dell’Unione sovietica, ma affermata lungo i secoli di una storia più che millenaria.
La solidarietà va anche al popolo russo, trascinato in una follia anacronistica e sanguinaria da una leadership che ha una concezione jurassica della politica internazionale, fatta di “sfere di influenza”, diktat, minacce e uso della forza militare per costringere gli altri a piegarsi alla propria prepotenza e ai propri deliri di onnipotenza.
Si dice che il mondo sia tornato ai tempi della Guerra fredda, del confronto tra blocco sovietico e blocco americano che ha caratterizzato la storia del secondo dopoguerra fino al 9 novembre 1989. Purtroppo le cose sono più complesse, la storia non si ripete mai identica, neppure passando “da tragedia a farsa”. Mai, durante la Guerra fredda, una grande potenza aveva invaso uno Stato terzo per trascinarlo a forza nella sua sfera di influenza. Era invece successo più volte che la violenza fosse stata impiegata per ricondurre al proprio campo chi minacciava di uscirne: talvolta in maniera diretta (come in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968), talaltra in maniera indiretta (come in Guatemala nel 1954, in Cile nel 1973 o in Polonia nel 1981).

Una situazione come quella cui stiamo assistendo in Ucraina è quindi un inedito. È una plateale violazione non solo del diritto internazionale, ma persino della delicata triangolazione tra norme, principi e ragion pratica attraverso la quale gli Stati cercano di tracciare le proprie rotte.
Quello che è certo è che lo scenario per la sicurezza europea è irreversibilmente cambiato dopo l’aggressione russa all’Ucraina. E lo stiamo già constatando. L’Unione europea ha dovuto prendere atto che la pace che regna dentro le sue frontiere non rappresenta un anticipo del futuro già scritto dell’intero continente. Anzi. Alle frontiere dell’Unione, alle nostre frontiere, è tornata la guerra. Peraltro annunciata dall’aggressione russa, sempre ai danni dell’Ucraina, del 2014.

È la fine del post-Guerra fredda, ma è anche la fine dell’illusione che l’Unione possa essere solo una “potenza civile”, in grado col suo esempio di illustrare la via da seguire al resto del mondo. Tutto questo conteneva anche una buona dose di ipocrisia, a partire da quella che lasciava al mercato e alle sue forze il compito di costruire una pace “senza vinti né vincitori”. Le continue crisi economico-finanziarie che si sono succedute in questi anni e la polarizzazione crescente di redditi, ricchezze e prospettive nelle nostre società raccontano una ben altra storia. Ma questo ennesimo risveglio è ancora più traumatico.
Dovremo prendere consapevolezza che la strada verso un mondo più equo, inclusivo e pacifico è ancora lunga, che la storia non torna indietro, ma che sicuramente siamo a un “tornante della storia”, che richiederà di non lasciarsi ingannare dalle false analogie col passato ma anche di non commettere gli stessi errori. Dovremo saper dimostrare nei fatti, anche in quelli più dolorosi e nei momenti più gravi di saper essere “un solo popolo europeo”.

Guardando alle reazioni che questa guerra ha suscitato non possiamo non restare sgomenti constatando quanti – di fronte allo stupro di una Nazione – abbiano voluto cercare e giustificare le ragioni dello stupratore. È lo stesso meccanismo che abbiamo visto in opera nelle violenze contro le donne. Anche l’Ucraina è stata accusata di “essere rincasata tardi la sera, con un abito troppo corto, magari un po’ alticcia”, di “essersela andata a cercare”, insistendo nel voler essere libera di scegliere il proprio destino, l’adesione alla Ue, alla Nato…

Per fortuna c’è anche la speranza che ci regala la mobilitazione di decine di milioni di europei, espressa materialmente nelle piazze italiane e in quelle di Praga e Berlino, nel nome della pace e in sostegno ai diritti e al valore del popolo ucraino. Ecco la centralità del ruolo dell’impegno individuale di ognuno di noi, che può contribuire a fare la differenza, come l’esistenza stessa del Sermig testimonia da decenni. Ripartiamo da qui, da quello che sappiamo fare e testimoniare, ripartiamo da questa flebile luce, per lottare contro le tenebre.


Vittorio Emanuele Parsi
Docente di Relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano
NP marzo 2022

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