A scuola di maternità

Pubblicato il 10-09-2020

di Rosanna Tabasso

Affidarsi a Maria per continuare ad accogliere...

 

Nei nove giorni che hanno preceduto l’intitolazione dell’Arsenale a Casa di Maria, ci siamo preparati ripercorrendo ogni sera un tratto della storia del Sermig che abbiamo vissuto con Maria: l’attesa e l’inizio dell‘Arsenale, i pellegrinaggi, l’andare in missione, la presenza in Brasile e in Giordania, i giovani al primo posto, la dimensione della spiritualità, la scelta di stare nella Chiesa… 

 

È stata l’occasione per me di fare memoria anche del mio rapporto personale con Maria. La sua è stata una presenza costante nel mio mondo di bambina. Fin da piccola gli adulti e gli anziani che popolavano la mia vita me l’hanno trasmessa con la loro fede. Nel loro credere avevano più confidenza con la Madonna che con il Signore e la loro preghiera era fatta più di Rosario che di Vangelo. Ricordo il bisbigliare degli anziani che mattina e sera accompagnavano i primi e gli ultimi passi della giornata pregando. La vita era intrecciata di feste e memorie legate alla Madonna e noi bambini venivamo sempre coinvolti. Se mi guardo indietro ora rifletto che proprio la Madonna ha tenuto vivo il Vangelo in quelle generazioni, comunicando l’essenziale della vita di Gesù alla gente semplice che non aveva altro nutrimento della Scrittura se non la messa della domenica. I misteri della vita di Gesù che compongono il Rosario sono stati il Vangelo in miniatura che la gente ha potuto tenere con sé sempre, nelle case, sul lavoro, nelle gioie, nei dolori… Ma allora non capivo.

 

Negli anni ‘70, come ogni giovane della mia età, volevo trovare da sola le ragioni della mia fede, rifiutavo la mentalità religiosa che avevo ereditato perché era tutta devozione e mi pareva quasi che considerasse più la Madonna che Gesù e più il Rosario del Vangelo. Per me invece il centro della giornata e della preghiera era diventato il Vangelo che mi faceva conoscere i tratti umano-divini di Gesù, innestava anche la mia vita nella storia della salvezza, dava senso e compiutezza ad ogni situazione che vivevo. Era l’essenziale che portavo sempre con me. Di fatto ho archiviato la Madonna nei ricordi di bambina con tutte le devozioni a lei legate. Avevo bisogno di trovare l’essenziale, il cuore del mio credere. Dopo averla “archiviata” nel cassetto dei ricordi, è stato il Vangelo a restituirmi Maria, con i pochi tratti sostanziali di lei ripuliti dalle devozioni del passato: il sì senza condizioni, il servire sempre, lo stare con Gesù e soprattutto un tratto nuovo di lei, quando per due volte nello stesso capitolo (2,19 e 51), Luca ritrae Maria che medita i fatti della sua vita e della vita di Gesù: «Maria (…) custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore…». 

 

Fine anni ‘70, parallelamente alla mia vocazione, è nato nel Sermig il desiderio di realizzare «una piccola fraternità di vita comune» – così scriveva Ernesto allora – per vivere il Vangelo, per aiutarci ad essere cristiani nella Chiesa. Ed è iniziata la ricerca di una casa, di un luogo dove solo Dio poteva guidarci perché lo volevamo da lui. Chi ci poteva aiutare a “toccare” il cuore di Dio? Chi poteva commuoverlo così che accettasse di legare la sua stella al nostro carro e unire il nostro desiderio al suo? Maria, che a Cana dice ai servi «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5), poteva intercedere anche per noi. In modo naturale ci siamo riappropriati del Rosario per ricordare a Maria il nostro sogno e ricevere da Dio il segno che Lui camminava con noi. E così è stato per me. Lo recitavamo ogni giorno da soli là dove eravamo, in piccoli gruppi alla Consolata o davanti ai portoni chiusi dell’Arsenale che ci pareva il luogo migliore per dare casa alla Fraternità. Il 2 agosto 1983 il portone si è spalancato sugli antichi archi di questa ex fabbrica di armi che poteva essere trasformata e diventare monastero metropolitano. Sproporzione più grande non poteva esserci: poche formichine di fronte ad un gigante. Come avremmo fatto? Non abbiamo più smesso di stringere nella mano il Rosario e di ripetere nel cuore “Ave Maria…”. 

Gli anni si sono susseguiti ma la sproporzione non è mai diminuita e le nostre forze non sono comunque mai state sufficienti senza il traino di quella Stella cui abbiamo legato il nostro fare. Spaccare vecchi muri, scavare, riparare i tetti, giovani che ci aiutavano in ambienti non ancora sicuri, lavori spesso pericolosi che facevamo senza troppa competenza… Non era una sfida al buon senso, era un sogno che voleva mettere ali. Pregavamo senza sosta Maria che ci aiutasse, che ci proteggesse, che indicasse le scelte migliori. Il Rosario era l’unica preghiera che usciva da sola dalle labbra quando sentivo e sentivamo la precarietà e il pericolo. Spesso Ernesto ci fermava durante il lavoro per invitarci a dire un’Ave Maria”. Era importante perché ci sintonizzavamo tutti e si riprendeva più uniti e più attenti. Ci diciamo sempre che il miracolo più grande che Maria ci ha fatto, in quegli anni di lavori pericolosi, è che nessuno si sia fatto seriamente male. 

 

Maria ha accompagnato la trasformazione dell’Arsenale, del Sermig e anche della mia vita. Oltre che all’Arsenale, che è diventato Casa di Maria, posso dire che anche in me Maria ha trovato casa. Condivido tutto con lei: la trepidazione per le scelte più difficili, le preoccupazioni di ogni giorno, i momenti di dolore, la gioia che mi fa ringraziare, le piccole e le grandi decisioni. Le affido continuamente le persone che si avvicinano a me con i loro bisogni. Un dialogo incessante che l’ha resa presenza costante e sicura come Donna, Amica, Sorella e Madre. Che stringa o no il Rosario tra le mani, continua ad essere ora anche per me la prima e l’ultima cui mi affido.

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