Uno vale uno?

Pubblicato il 15-03-2021

di Matteo Spicuglia

Il bagno di realtà del Covid e quello che manca...

Uno vale uno, ma c’è chi pensa di valere molto di più. L’esperienza del Covid ce lo ha fatto ca­pire tra e anche sopra le righe. Ricordate i discorsi della prima­vera? Il refrain di esperti e non: «Tan­to muoiono i vecchi», «Rischia chi ha patologie pregresse», «Il problema è delle Rsa». La realtà ha dimostrato il contrario, ma questo modo di dire e di pensare nei sani ha alimentato quasi un senso di sollievo, una sorta di fata­lismo magico che ha fatto abbassare ogni cautela. Il “liberi tutti” di quest’e­state, complice una comunicazione istituzionale confusa e pasticciata, ha fatto il resto: il mix che in autunno ha riportato il nostro Paese nel pieno di una seconda ondata. Ospedali saturi, tanti morti, nuovi lockdown. E quell’i­dea di fondo di continuare a sentirci diversi dagli altri. Perché ormai è chia­ro: la regola dell’“uno vale uno” con il Covid non vale.

Abbiamo capito che nella concre­tezza di questo tempo uno studente vale meno di chi lavora, un anziano ricoverato in una Rsa meno di chi ha la fortuna di starsene a casa propria, la famiglia di un giovane autistico meno di una famiglia ordinaria, un lavoratore senza tutele meno di chi è garantito. Gli esempi potrebbero con­tinuare all’infinito. Con alcuni para­dossi. Come il punto di vista di Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega, interpellato sui vaccini. «Bisogna valu­tare l'importanza economica del terri­torio: la Lombardia, è un dato di fatto, è il motore di tutto il Paese.

Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una perso­na di un'altra parte d'Italia. Se in un'a­zienda devo investire in un sistema an­tincendio lo potenzio dove c'è il server, dove c'è il capitale umano che produce. Non è solo una questione di Lombar­dia o Lazio, vale per un ministeriale o un burocrate europeo, io dico prima i dipendenti privati. Per me invece vale di più un lavoratore, un magazziniere, un commesso, un imprenditore lom­bardo rispetto a un ministeriale roma­no. Non perché ce l'ho con lui ma solo che per uscire da questa pandemia dobbiamo investire in debito pubblico e allora dobbiamo mettere in condizio­ne chi produce nel mondo privato di farci affrontare il debito pubblico».

Uno vale uno? Macché! Se poi allar­ghiamo lo sguardo al resto del mondo, lo scenario è ancora più triste. Secon­do la rete di ong People’s Vaccine Al­liance, in circa 70 Paesi poveri, il 90% della popolazione rischia di non avere accesso al vaccino. Questo perché più della metà delle dosi è già stato acqui­stato dai Paesi più ricchi, dove però vive meno di un sesto della popolazio­ne mondiale. «Gli Stati ad alto reddito sono arrivati prima e hanno svuotato gli scaffali», ha detto al New York Ti­mes Andrea Taylor, un ricercatore del­la Duke University.

Gli Stati Uniti per esempio hanno sottoscritto accordi per scorte fino a un miliardo e mezzo di dosi. Così il Canada che nei prossimi mesi po­trebbe essere in grado di vaccinare la popolazione addirittura sei volte, se­guita da Gran Bretagna con quattro e dall’Unione Europea con due. Tutti gli altri staranno a guardare. Alcuni Paesi a basso reddito potrebbero aspettare fino al 2024 per avere un numero di vaccini sufficiente. Niente di nuovo sotto il sole, se si pensa che l’Africa è riuscita a sconfiggere completamente la poliomelite solo nell’agosto scorso, ben 18 anni dopo l’Europa.

Uno vale uno? Purtroppo, no.

E forse a tanti va bene così. Il futuro però ancora ci appartiene se solo lo ca­pissimo, se decidessimo di allargare lo sguardo, di rilanciare una visione co­mune in cui gli “uno” si riconoscono uguali nella dignità, nei bisogni, nella propria umanità. Per continuare a sen­tirsi “uno”, ma diventando finalmente “noi”.

Matteo Spicuglia

NP Gennaio 2021

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