Una vita a metà

Pubblicato il 06-02-2022

di Chiara Vitali

Paura del futuro, ansia, tristezza, ma anche voglia di relazioni e capacità di affrontare le difficoltà. Lo spettro di emozioni che i ragazzi delle scuole medie e superiori hanno sperimentato durante la pandemia è complesso. Alberto Rossetti, psicoterapeuta, ha scritto un libro che mette al centro proprio il vissuto degli adolescenti. Si intitola Tutti a casa. Amici, scuola, famiglia: cosa ci ha insegnato il lockdown. Dal suo osservatorio, Rossetti è testimone di ciò che l'ultimo anno e mezzo ha seminato nei più giovani.

La pandemia da Covid-19 ha messo alla prova tutti, grandi e piccoli.
Ma quali ferite ha provocato negli adolescenti?
Bisogna innanzitutto fare una distinzione: i ragazzi hanno vissuto in modo diverso i primi mesi di pandemia rispetto a quelli successivi.
Il primo lockdown è stato molto particolare, nella sua eccezionalità.
C'è stato un racconto epico dello stare chiusi in casa per sconfiggere il virus e questo in molti casi ci ha protetti dal confrontarci con la realtà. Vale anche per i ragazzi: molti hanno congelato e rimandato una serie di questioni per loro problematiche.

Che si sono presentate più avanti?
Sì, nei mesi successivi. A settembre 2020 le scuole si sono aperte, siamo usciti da questa bolla eccezionale e ci siamo confrontati con la quotidianità della pandemia. Per tutto l'inverno e la primavera scorsi i ritmi sono stati molto diversi dal pre-covid: il non uscire, il non vedersi, il non fare sport, sono tutti elementi che hanno impattato in maniera molto forte.Proprio in relazione a quel periodo, diversi centri hanno riportato un aumento di patologie nei ragazzi come disturbi alimentari, attacchi al corpo, pensieri suicidari, insonnia, ansia. Chi lavora con loro si è reso conto che alcuni sintomi sono proprio esplosi. Certo, c'è anche chi ha scoperto una resilienza che non pensava di avere. Ma non è stato così per tutti: qualcuno aveva proprio bisogno di fare altre esperienze per crescere.

Oggi cosa rimane?
I ragazzi si portano dietro un anno e mezzo di vita vissuta a metà perché tante esperienze non sono state fatte.
Mi riferisco soprattutto alla dimensione delle relazioni, dello stare insieme, dei sentimenti. Adesso da un lato i ragazzi hanno bisogno e voglia di vivere queste cose, e ciò può tradursi anche in un'esagerazione, dall'altro hanno paura. L'adolescenza è un periodo in cui le esperienze sono molto rapide: di solito in un anno e mezzo si fanno grandi progressi in termini di conquiste sociali, relazioni e costruzione della propria identità. È proprio un tempo diverso rispetto a quello di un adulto.

Si può già immaginare se ci saranno conseguenze di lungo termine sui ragazzi?
No, non è possibile perché siamo ancora immersi in questa situazione particolare e ci sono variabili molto difficili da valutare. C'è un report di Amnesty International del 2021 che racconta le emozioni dei ragazzi in tempo di pandemia e per la maggioranza sono emozioni sul lato depressivo, come paura e tristezza.
Sembra che questo periodo abbia seminato in loro un po' di timore del futuro, che è il contrario di quello che di solito ci aspettiamo da un ragazzo giovane. Bisogna vedere come vivremo da qui in poi e se la ripresa di tutte le attività farà recuperare la spinta verso la vita.

Come adulti, cosa possiamo fare per stare accanto ai giovani?
Vale la regola che dobbiamo sempre avere: non esaltare i loro stati emotivi ma nemmeno sottovalutarli. È importante ascoltarli e cercare di trovare con loro soluzioni alle difficoltà, che sono reali, non sono invenzioni. Se i più piccoli fanno fatica a relazionarsi o ad andare a scuola, possiamo cercare di spingerli verso attività ricreative o sportive. Senza esagerare, ma si può camminare con loro in una direzione che li faccia riappropriare di uno spazio.
Forse come adulti dovremmo anche ragionare su un nuovo equilibrio: non negare la pandemia ma nemmeno avere la paura che avevamo a marzo 2020. Questo aiuta i ragazzi a ritrovare anche il loro equilibrio.

Il sottotitolo del suo libro è: Amici, scuola famiglia: cosa ci ha insegnato il lockdown. E allora, che cosa abbiamo imparato?
Abbiamo sicuramente vissuto un'esperienza di contatto con la morte, con la malattia e quindi anche con la vita. E non avremmo potuto farlo in un modo più perfetto, pur nella grande drammaticità di ciò che abbiamo vissuto. La pandemia ci ha dato la consapevolezza che, nonostante tutto, la vita è qualcosa che esce dal controllo dell'umano. È un insegnamento importante per tutti, adulti e ragazzi, e lo possiamo girare in senso positivo perché ci aiuta a dare il giusto valore alle cose. Abbiamo anche toccato con mano la solitudine e questo ha risvegliato in noi la voglia di costruire reti e relazioni, che forse stavamo perdendo. Ora è importante continuare in questa direzione.


Chiara Vitali
NP novembre 2021

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok