Un dono in musica

Pubblicato il 30-11-2021

di Marco Maccarelli

Per me coscienza significa essere pienamente presenti alle proprie scelte. Giovanni Caccamo va diritto al cuore, pesa le parole, vuole essere essenziale.
Lui, giovane cantautore siciliano tra i più apprezzati, il suo sogno costruito negli anni e una missione alimentata nel profondo: comunicare la bellezza dell'arte. Tanti sforzi e sacrifici e un incontro che cambia la vita, quello con Franco Battiato.

Com'è andata con lui?
Il mio sogno era la musica e per realizzarlo partii dalla Sicilia a 18 anni per Milano, nonostante la diffidenza palese di mia madre che sosteneva che la musica non potesse trasformarsi in lavoro. Mi iscrissi ad Architettura: di giorno ero "studente", la sera "sognatore creativo". Cercavo di capire come funzionasse l'incastro tra musica e parole.
Avevo scritto le mie canzoni, cercavo di farle conoscere agli addetti ai lavori, ma niente. Avevo ricevuto molti no e diverse porte in faccia. Ricordo che a un certo punto tornai in Sicilia con l'idea di rinunciare al mio sogno.
Era estate. Ne parlai con una mia amica che quasi mi rimproverò dicendomi che non avrei dovuto arrendermi proprio in quel momento. Anzi, mi consigliò di provare a far ascoltare qualcosa a Battiato che aveva affittato una casa a Donnalucata, a pochi chilometri da casa mia. Era il 9 agosto del 2012, mi appostai per quattro ore e appena lui uscì mi avvicinai con una busta. «C'è un cd dentro?», mi disse con fare distaccato.
«Sì!». «Va bene!». E se ne andò. Ci rimasi un po' male, ma mai avrei immaginato quello che avvenne poco dopo.

Cioè?
Di pomeriggio, tornato dal mare, trovai sul telefono cinque chiamate anonime e un messaggio in segreteria: «Sono Battiato, ho provato più volte a chiamare, ho ascoltato il disco e devo dire che va benissimo! Ci vediamo domani alle 11 in spiaggia, ciao». Il giorno dopo andai da lui che si scusò: «Guarda, sono trent'anni che mi rompono le scatole con questi CD, ieri sono stato un cafone, perdonami, davvero. Comunque voglio produrre il tuo album, faccio un bagno e ne parliamo ». E quindi, come in un film, da lì è partito questo viaggio che è sempre stato caratterizzato comunque da ostacoli, pause, difficoltà e grandi gioie ovviamente. Ma è un po' il viaggio della vita.

Hai avuto il coraggio di non fermarti davanti ai no…
Sì, anche se non è stato facile. Ho imparato però ad affidarmi, cioè ho capito che non siamo totalmente padroni del nostro tempo e della nostra strada. La cosa importante è vivere quotidianamente la vita in modo attivo e scegliere di vivere per il bene, per la luce. Quindi questa è la mia missione artistica e missione di vita.
Questo ovviamente implica il fatto di impiegare tutte le tue energie e forze per il raggiungimento di un obiettivo.
Tuttavia, qualora quell'obiettivo non dovesse essere raggiunto, ho imparato che dietro un no magari c'è una strada leggermente differente, che ti farà raggiungere qualcosa di molto più grande di quello che avevi immaginato.

Come si fa a puntare diritto all'obiettivo?
Secondo me, prima di tutto dobbiamo averlo chiaro. Io tuttora mi chiedo: ma io perché ho scelto di fare musica nella mia vita? Ognuno deve trovare la fiamma che arde dentro, che dà la forza per superare gli ostacoli. Io per esempio ho scelto la musica perché ho perso mio papà quando ero molto piccolo, a 11 anni, per un cancro. Dopo anni di rabbia e di ricerca, ho capito che c'era un "dono nascosto" dietro la sofferenza e la morte di mio papà, cioè rendermi conto già da piccolo che avrei dovuto spendere la vita solo per la bellezza, per la luce, per qualcosa che – quotidianamente – riuscisse ad emozionarmi e a farmi sentire al posto giusto. Per me la musica è questo.

Come si fa a trasformare davvero un dolore così grande?
Il vero problema è che viviamo in una società che pone l'io costantemente al centro della quotidianità e del nostro mondo. In realtà, io vedo la morte come l'ombra della luce. Penso cioè che la vita sia così incredibile e straordinaria proprio perché ha un tempo limitato che noi non possiamo gestire.
Ogni giorno possiamo scegliere se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. La chiave è questa.

Quindi, anche la fragilità può essere un valore…
Assolutamente. La fragilità ti fa avere la giusta percezione della misura. Noi siamo piccolissime parti di una grande armonia e questo sentirsi piccoli non è una diminutio. Anzi. Questo atteggiamento vale anche per la creatività. Una delle prime cose che mi ha detto Battiato è stata di non avere mai l'arroganza di pretendere che arrivi una canzone più bella di quella che hai già scritto, perché non dipende da te. «Noi siamo un tramite tra la terra e il cielo, – diceva – quindi bisogna rimanere serenamente aderenti alla realtà, con i piedi per terra e la testa mobile».

Nella vita c'è un piano orizzontale, ma anche uno verticale. Tu come lo alimenti?
Io mi alleno ad essere cosciente dei doni che costantemente riceviamo e di cui spesso non ci accorgiamo. E poi credo davvero, come diceva Dostoevskij, che la bellezza salverà il mondo. Perché è testimonianza del passaggio dell'uomo sulla Terra, della sua esigenza di creare qualcosa, di essere tramite di luce.

In tutto questo che posto ha la speranza?
La speranza fa parte della nostra natura.
Diciamo che per me la parola che più riesce ad esprimerla è "serenità", l'equilibrio tra le cose, tra interiorità ed esteriorità. Spesso riponiamo la speranza nel futuro, invece deve essere una condizione presente, da vivere ora, adesso.


A cura di Marco Maccarelli
NP agosto / settembre 2021

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