Siamo un popolo accogliente?

Pubblicato il 21-10-2021

di Max Laudadio

Stanley è nigeriano e da sei anni vive in Italia. È scappato dal suo Paese perché, come molti altri cristiani, ogni giorno rischiava di morire. Da quando la madre è deceduta ha vissuto con la zia e i cugini ma, non avendolo accettato, lo trattavano come uno schiavo.
Era analfabeta, dormiva per terra e viveva seguendo la legge della strada, quella del più forte. Stanley in quel posto e con quella famiglia non avrebbe avuto futuro. Sarebbe finito in qualche banda locale, una di quelle che comandano la città con la violenza e diffondendo paura, e non temendo di dover usare la pistola per convincere gli altri all'obbedienza.

Un giorno ha deciso di scappare e di intraprendere il viaggio della speranza, quello che nei suoi sogni lo avrebbe portato in un posto dove, forse, sarebbe finalmente rinato. Ha attraversato tutto il deserto, mesi e mesi di cammino, con poco cibo e qualche litro d'acqua.
Prima in compagnia di un amico, poi solo, perché lungo il tragitto il suo compagno di viaggio è stato vittima del deserto, e proprio Stanley l'ha seppellito.
Gli sono serviti mesi per attraversare il Niger a piedi, e altrettanti per la Libia. Da lì, dopo altri tre mesi di attesa, con cibo e acqua razionata e dormendo sotto le stelle, si è imbarcato su un gommone talmente colmo di gente da non riuscire quasi a galleggiare.
Il viaggio verso Lampedusa è stato distruttivo e gli sono servite tre settimane per attraversare il Mediterraneo.
L'imbarcazione non aveva il bagno, e nemmeno i salvagenti sufficienti in caso di naufragio, come anche nessuna attrezzatura di sicurezza. I passeggeri non avevano coperte per la notte, o cibo e acqua sufficienti, ma nemmeno lo spazio per allungare le gambe. Molti sono morti e sono stati abbandonati in mare, altri sono arrivati a destinazione in condizioni talmente critiche da essere costretti a mesi di ospedale. Decine di bambini viaggiavano da soli e non si sa che fine abbiano fatto.

Arrivati a destinazione il massacro non è finito. Stanley e tutti i suoi compagni sono stati buttati come fossero delinquenti in un "Centro di prima accoglienza", li chiamano così ma sono molto simili ad un carcere. In questi posti stivano migliaia di persone in attesa dei documenti necessari per muoversi nel nostro Paese, ma prima di ottenerli passano ancora mesi e mesi. In sintesi, chi riesce ad arrivare ed ha la fortuna di non morire durante il viaggio, è costretto a subire umiliazioni tali che non dimenticherà mai.
Dopo aver passato tutto questo, quando la strada per Stanley sembrava in discesa, si è ritrovato solo in un Paese ancora poco preparato all'accoglienza dei migranti. Ha incontrano razzisti, o persone semplicemente impaurite dalla sua presenza, che non gli hanno reso la vita facile. E la burocrazia e la diffidenza sono stati i suoi nemici più frequenti.
Il rischio che questa esperienza così difficile e lacerante lo portasse verso strade di illegalità e indifferenza era grande, ma fortunatamente la sua storia non è andata così.
Stanley oggi è un bravo ragazzo, onesto, che ha scelto la strada della vera libertà, ovvero quella dell'amore. Per sua fortuna ha trovato una famiglia che l'ha accolto, gli ha offerto un lavoro e gli ha restituito un po' di dignità ma, purtroppo, ci sono migliaia e migliaia di Stanley che non hanno ancora nessuna prospettiva, nessun progetto e, inevitabilmente, nessun sogno.

Sarebbe bello poter garantire loro la speranza nel futuro o, almeno, la certezza del presente. L'esperienza di Stanley, che semplicemente è quella che vivono migliaia e migliaia di immigrati, lascia l'amaro in bocca, e non solo perché evidenzia la pochezza del nostro sentire ma, principalmente, perché ci costringe a prendere atto che la strada verso l'uguaglianza e l'inclusione è purtroppo ancora molto lontana.


Max Laudadio
NP giugno / luglio 2021

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