Radicalità senza radici

Pubblicato il 03-02-2021

di Claudio Monge

Trovatasi nuovamente al centro della cronaca internazionale per gli alterchi non propriamente istituzionali tra il presidente Recep Tayyip Erdoğan e il suo omologo francese Emmanuel Macron, la Turchia islamica non sembra essere stata particolarmente scossa da turbolenze che appartengono più al campo della propaganda politica che a quello delle dinamiche religiose (questo vale in Francia come in Turchia, del resto).

Mentre la politica insegue spesso e volentieri improbabili soluzioni ai problemi sociali che essa stessa genera, anche solo per negligenza, lanciando messaggi che puntano a tranquillizzare o, se serve, a incrementare un senso di paura utile ad una gestione più autoritaria del potere, le dinamiche religiose appartengono spesso ad un mondo parallelo, anche se non sono indifferenti alle interpellanze dei segni dei tempi.
Ma chi studia le questioni dall’interno del fenomeno religioso, si trova molto spesso in disaccordo con valutazioni decisamente inappropriate.
Chi parla, ad esempio, di “islam radicalizzato”, presuppone evidentemente che esista un “islam moderato”, quando in realtà l’islam in quanto tale non è né l’uno né l’altro, ma è sempre la sua interpretazione, il modo di viverlo ed incarnarlo ad essere più o meno radicale.
Questa radicalità, poi, può significare comportamenti diametralmente opposti.

Cosa c’è di più radicale della scelta di una vita eremitica, povera e non violenta in nome della propria fede? Le etichette, di impatto sui media, determinano vere e proprie mistificazioni.
Quando in seguito ad un atto di violenza inaudito, associato all’appartenenza, almeno formalmente dichiarata, alla religione islamica, si parla di “islam radicalizzato”, si presuppone che l’islam sia una religione totale, che comprende, cioè, indissolubilmente tutti gli aspetti della vita dei suoi aderenti.
In pratica, si tratta di un’ambizione irrealizzabile, perché la dimensione religiosa non esaurisce mai la complessità antropologica: noi siamo molto di più che il nostro essere religiosi!

Bisogna tener conto, ad esempio, che le società occidentali sfidano persone appartenenti a culture le più diverse (oltre che, spesso, a confessioni di fede diverse) sui principi della vita secolare, mettendole alla prova su concetti come libertà di parola, blasfemia, minoranze sessuali e uguaglianza di genere. Questo ha una sua logica nel contesto delle società maggioritarie ma, quando condiviso con persone provenienti da altre culture richiede una “familiarizzazione forzata”. Molti musulmani, per delle ragioni culturali prima ancora che religiose, subiscono ciò come una sfida personale e, talvolta, anche come atto di svalutazione della propria cultura.
Se solo rarissimamente lo sconcerto generato si converte in reazione violenta, i soggetti in questione entrano in una complessa fase di riflessione nella quale cercano di trovare una coerenza tra il loro credo e la loro esperienza secolare, tra le loro radici famigliari e la loro aspirazione d’integrazione. Qui interviene il diritto alla formazione e alle mediazioni culturali che devono poter offrire percorsi propedeutici e personalizzati, inseriti in una dinamica di coinvolgimento e responsabilizzazione dei soggetti, in un vero processo di cittadinanza inclusiva. Sono considerazioni che sembrano in larga parte ignorate, nel pubblico dibattito alimentato dall’onda emozionale. È quello che è successo in Francia con manifestazioni in cui si è arrivati a sostenere addirittura un “diritto alla blasfemia”, o a brandire la minaccia di una legge contro il“separatismo religioso”, che coinvolge il settore educativo, oltre che il diritto d’associazione e di professione pubblica della fede.

La veemente reazione della leadership turca al dibattito francese, è il riflesso della consapevolezza di quanto l’islam turco sia influente in Francia e Europa in genere, a livello di gestione moschee come di formazione di imam e strutturazione di centri culturali (influenza, per altro, statisticamente sovrastimata).v Ma molte altre realtà, molto variegate, sarebbero colpite da tale progetto legislativo. Solo nel 2016, contro il separatismo educativo erano insorti i vescovi della Conferenza Episcopale, intravvedendovi un attacco abusivo a una libertà costituzionale fondamentale!
La pericolosità di certi discorsi nelle cosiddette “democrazie occidentali”, è ben sintetizzata da Frédéric Mas, capo redattore di “Contrepoints”, rivista online di attualità internazionale, considerata l’espressione di punta del pensiero liberal. Mas afferma che, di questo passo, lo Stato diventa un clero che pretende di inquadrare l’esercizio della libertà religiosa, chiedendo la sottomissione di tutti a un’ideologia repubblicana, che non supporta alcun pluralismo religioso, al di fuori delle proprie definizioni autoritarie.

Claudio Monge
NP dicembre 2020

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