Quello che resta

Pubblicato il 04-09-2021

di Pierluigi Conzo

Nato dieci anni fa dal desiderio di superare il PIL come unica misura di benessere, il team del Benessere equo e sostenibile (BES) ha da poco pubblicato il termometro sullo stato di salute del paese relativo al 2020. Il gruppo di lavoro, composto da Istat e Cnel insieme altri studiosi accademici (e non), ha messo in luce i principali cambiamenti prodotti dallo shock pandemico che ha duramente colpito il nostro paese.

Con la sua vocazione multidimensionale, seppur prettamente descrittivo e non in grado di attestare nessi causali tra le varie dimensioni analizzate, il BES resta indubbiamente uno strumento di estrema utilità. Infatti, alcuni suoi indicatori sono stati inclusi nel Documento di economia e finanza, con l’obiettivo di monitorare e valutare l’effetto delle politiche su alcune dimensioni della qualità della vita. Ad oggi, il BES include ben 152 indicatori per un totale di 12 domini ritenuti di maggior rilievo per avere un’idea più completa di benessere rispetto ai tradizionali indicatori macroeconomici.

 

Che quadro emerge del nostro paese ad un anno dall’inizio della pandemia? Il dato peggiore è quello relativo alla salute, dove l’Italia (specialmente il Nord) ha perso nell’ultimo anno tutti i progressi maturati fino al 2019 in termini di speranza di vita. Il dato non sorprende se si guarda al fragile contesto sanitario in cui il COVID si è inserito, testimoniato dalla graduale riduzione di disponibilità di strutture e posti letto dal 2010 al 2018 nonché dalla diminuzione nella possibilità di cura in alcuni territori ed il conseguente aumento di mobilità per cure dal sud e dal centro.

La pandemia, inoltre, ha ulteriormente messo in crisi un mercato del lavoro già stagnante, con tassi di occupazioni pressoché stabili dal 2010, caratterizzato da ampie diseguaglianze regionali e per genere. Per cause di forza maggiore, il lavoro da casa è più che triplicato rispetto al 2019; esperienza, questa, di cui possiamo conservare i lati positivi ed applicarli in futuro per rendere il lavoro più flessibile, conciliante con la gestione familiare e meno impattante sull’ambiente.

La povertà, in aumento dopo la crisi recessiva del 2012-2013, dopo una timida flessione nel 2019 è continuata a crescere; nel 2020 circa il 9% della popolazione è in condizione di povertà assoluta. Il maggiore aumento si è riscontrato al Nord, zona maggiormente interessata dalla pandemia.

L’uso di internet, invece, è cresciuto a ritmi molto sostenuti, anche più della media europea, ma permane il divario geografico, che vede il sud in una posizione di particolare svantaggio rispetto al nord in termini di disponibilità di pc e internet (10 punti percentuali). La pandemia ha messo in evidenza ancora di più i rischi del crescente divario tecnologico, pericoloso volano di disuguaglianze sociali ed economiche nazionali già ampiamente presenti nel nostro paese.

 

Passiamo però alle buone notizie. Nonostante sia aumentata la preoccupazione degli italiani circa il proprio futuro, il benessere percepito sembra aver retto bene: non ci sono state differenze significative nel livello di soddisfazione per la propria vita tra il 2019 ed il 2020. Questo dato può essere spiegato da diversi fattori, tra cui l’accresciuta consapevolezza della propria condizione di vita rispetto a quella (percepita) degli altri, di fronte, ad esempio, ad immagini di sofferenza e criticità come quelle diffuse dai mass media durante il picco della pandemia. L’altra spiegazione si basa sulla qualità del nostro tessuto relazionale, su cui abbiamo fatto leva nei momenti più difficili. Resta infatti stabile la soddisfazione per le relazioni familiari e con gli amici: nonostante i limiti imposti dal distanziamento, il benessere relazionale sembra aver tenuto. Inoltre, nel 2020 sono aumentate le donazioni, la partecipazione civica e politica, mentre quella sociale resta stabile. La fiducia negli altri non ha subito particolari cambiamenti, mentre si conferma anche per il 2020 la tendenza positiva della fiducia nelle istituzioni.

Questi dati, nel loro complesso, sembrano suggerire che il COVID-19 ci abbia sì impoveriti materialmente e fisicamente, ma non sia riuscito a privarci di (altre) dimensioni che danno senso alla vita, come ad esempio le relazioni e l’impegno socio-politico. La ricchezza che deriva da queste componenti della felicità può essere la base su cui (ri)costruire una società più coesa socialmente ed economicamente, e al tempo stesso più innovativa e sostenibile.

 

Pierluigi Conzo

NP maggio 2021

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