Profughi del levante

Pubblicato il 30-03-2021

di Nello Scavo

A Mersin, il porto franco più trafficato e opaco del Mediterraneo, il pulmi­no della Chiesa cattolica fa discretamente il giro dei quartieri periferici. Raccoglie i figli dei dimenticati della diaspora siriana. Vengono portati in parrocchia per ap­prendere il turco. Prima della guerra alle messe domenicali la parrocchia curata dai francescani non raccoglieva che pochi residenti e rari pellegrini di passaggio. Adesso i locali del catechi­smo traboccano di bambini e le litur­gie sono tornate affollate come nessu­no ricorda.

È uno degli effetti collaterali del con­flitto siriano. L'afflusso massiccio, anzi l’esodo di profughi dal Levan­te verso la Turchia, ha trapiantato in Anatolia non solo centinaia di migliaia di islamici siriani, ma tra essi diverse decine di migliaia di cristiani costretti al reinsediamento. Molti di loro hanno potuto prendere la rotta verso l'Euro­pa, soprattutto attraverso la Grecia e la via balcanica. Ma un numero non precisato di cristiani è rimasto nella Mezzaluna, dove oggi sono protagoni­sti di un inatteso consolidamento delle comunità sorte due millenni addietro. Proprio laddove per la prima volta nel­la storia dell’umanità si sentì la defini­zione di “cristiano”. Ad oggi vivono in Turchia 3,7 milioni di profughi siriani. Secondo stime in­formali il 10% sarebbero cristiani. Una minoranza che se per un verso ha pro­dotto la quasi sparizione del cristiane­simo in molte aree della Siria (dove la comunità dei credenti costituiva il 13% della popolazione), in pochi anni que­sta nuova presenza ha quasi triplicato il numero dei fedeli in Turchia, che fino a prima del conflitto contava non più di 120mila cristiani, lo 0,2% dei quasi 80 milioni di abitanti.

Dal 2011 all’ombra delle cupole delle moschee ottomane è un tutto un re­plicarsi di “Little Siria”. I quartieri dei profughi che parlano arabo stanno ri­vitalizzando la presenza cristiana nella terra dei sultani. Dal confine siriano, risalendo verso la tomba di Pietro, ad Antiochia, e poi ripercorrendo a ri­troso la Via della Seta, nella provincia di Adana, e ancora nell'Anatolia pro­fonda, nella Cappadocia degli antichi rifugi cristiani sotterranei, fino al Bo­sforo, tra i minareti di Istanbul, non si contano le case nelle quali le donne si riuniscono per pregare con il Rosario.

Il martirio dei cristiani, in Turchia non è solo nel racconto dei profughi siriani. Il 5 febbraio 2006 a Trebisonda venne assassinato don Andrea Santo­ro; il 16 dicembre 2007, padre Adria­no Franchini, cappuccino italiano da 27 anni nel Paese, venne accoltellato a Smirne da un diciannovenne. Il 3 giu­gno 2010 il vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia, venne ucciso nella sua abitazione dall’autista di fiducia a Iskenderun (la greca Ales­sandretta).

Prima ancora del catechismo, biso­gna imparare il turco. «Ma loro ap­prendono in fretta», dice un'anima­trice parrocchiale a Mersin. A questi bimbi la vita ha già insegnato che tutto, all'improvviso, può cambiare. Un gior­no gli adulti hanno smesso di sorridere e gli anziani hanno cominciato a pian­gere. «Non abbiamo fatto in tempo a salutare neanche la Madonna, ma du­rante la marcia non abbiamo fatto altro che pregare Dio», racconta Maryam. Con la famiglia ha provato a farsi ospi­tare in una tendopoli lungo il confine. «Ma abbiamo capito che noi cristiani non siamo i benvenuti». Gli ultimi tra gli ultimi.

Per i profughi siriani vivere nei cam­pi in Turchia, in questi mesi di pe­santi nevicate, significa rischiare una polmonite. Ma in compenso lì arriva­no gli aiuti umanitari e non si muore di fame. Una speranza arriva da Bruxel­les, che pur di scongiurare una nuova ondata di profughi da anni finanzia il regime di Erdogan. La speranza è che stavolta i programmi di cooperazione siano più efficienti.

La Commissione europea ha esteso due programmi umanitari in Turchia fino all'inizio del 2022. Sono destinati a oltre 1,8 milioni di rifugiati e aiute­ranno oltre 700.000 bambini a prose­guire nella loro istruzione. «I bisogni umanitari dei rifugiati in Turchia per­sistono e sono ulteriormente aggravati dalla pandemia di coronavirus», ha af­fermato il commissario per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic. «L'Ue è pie­namente impegnata a sostenere chi è nel bisogno, come abbiamo fatto negli ultimi anni – ha aggiunto –. Sono lie­to che i nostri programmi faro aiutino migliaia di famiglie di rifugiati ad ave­re una certa normalità nella loro vita quotidiana. Questa è una vera dimo­strazione di solidarietà europea».

Molti però hanno riunciato anche solo a sognare un ritorno nella patria siriana. Soprattutto i cristiani a cui mon resta che discendere dai valichi verso il mare, dove è più facile na­scondersi nelle periferie delle città più grandi. «Siamo un piccolo gregge – dice una suora di Tarso, la città natale dell’apo­stolo Paolo – abbiamo bisogno di re­stare insieme». E di non essere lasciati da soli.

 

INFO

Attualmente la Turchia ospita 3,7 milioni di profughi siriani, oltre a migranti provenienti da altri Paesi. L’escalation delle violenze nella regione di Idlib e lungo il confine siriano settentrionale ha spinto fi­nora quasi un milione di persone – il 40% donne e bambini – a fuggire verso la Turchia. Per alleggerire la pressione alla frontiera il presi­dente turco Erdogan ha aperto i confini con la Grecia e la Bulgaria, creando così una nuova ondata di profughi verso l’Europa. I profu­ghi vivono all’aperto in condizioni durissime, non hanno accesso all’acqua potabile, al cibo o a cure mediche e per la loro sopravvi­venza dipendono dagli aiuti delle organizzazioni internazionali.

Dati Unicef

 

Nello Scavo
NP gennaio 2021

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok