Le crepe del sistema

Pubblicato il 02-02-2022

di Claudio Monge

Il 14 ottobre scorso ad Ankara, il ministro degli esteri del Governo provvisorio Taleban, Amir Khan Muttaqi ha incontrato il suo omologo turco Mevlüt Çavuşoğlu. Com’è noto, la Turchia ha mantenuto la sua ambasciata in Afghanistan dopo che i Paesi occidentali si sono ritirati in seguito al ritorno al potere dei talebani. A suo tempo, il presidente Recep Erdoğan aveva dichiarato che i talebani dovrebbero sentirsi a proprio agio quando dialogano con la Turchia perché Ankara «non ha nulla che contraddica le loro convinzioni», riferimento implicito alla comune fede islamica.

La dichiarazione ha trovato rapido riscontro operativo nell’incontro tra Muttaqi e il presidente del Diyanet (Ministero turco degli affari religiosi), Ali Erbaş, apertamente contestato da non pochi cittadini turchi. «I funzionari del governo turco, prima dichiarano che il terrore non è compatibile con l’islam – affermano in sostanza molti utenti dei social-media – poi intrattengono con i talebani colloqui anche apertamente religiosi. Di cosa discutono? La Turchia avrà qualcosa da dire all’interpretazione religiosa dei doveri politico sociali dei talibans?» si chiedono preoccupati. La politica estera turca da anni è un vero e proprio labirinto. Le già complicatissime relazioni con l’UE, lo saranno ancora di più con l’uscita di scena della cancelliera tedesca Angela Merkel che, bene o male, si è sempre sforzata di far “digerire” ai colleghi occidentali, il boccone sempre più indigesto della leadership di Ankara, rendendo possibile, tra l’altro, i ripetuti discutibili accordi per la gestione dell’emergenza rifugiati. Da un altro lato, anche l’intesa militare AUKUS tra Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti (in chiave anticinese), tocca la Turchia perché diminuisce palesemente la rilevanza della NATO (di cui la Turchia è membro) nelle relazioni transatlantiche, generando l’effetto domino di nuovi accordi bilaterali scomodi per Ankara, come quello di difesa tra Francia e Grecia. Difficile non immaginare quest’accordo, che ha influssi rilevanti nel bacino del Mediterraneo, come una reciproca protezione proprio nei confronti della Turchia e delle sue politiche assai aggressive. L’aumentare dell’isolamento turco ad Occidente incoraggia le manovre medio-orientali di Ankara, soprattutto sul fronte afghano e siriano. Facile pensare che Erdoğan saprà usare soprattutto il dossier afghano, in primis le questioni dei rifugiati e della militanza islamista estremista, come strumento di ricatto per obbligare le cancellerie al nord del Mediterraneo ad ascoltare la sua voce.

Ma i cittadini turchi sono francamente preoccupati rispetto ad altre questioni, in particolare dal fattore economico interno. L’ultimo dato è il 21° posto su 156 Paesi nel World Misery Index per il 2020, calcolato sulla base di indicatori economici come disoccupazione (in Turchia il 12% lo scorso agosto), inflazione (la lira turca ha perso il 19% del suo valore dall’inizio dell’anno), tasso di interesse e reddito nazionale. Se l’aumento della disoccupazione indica un incremento dei senza reddito, l’aumento dell’inflazione implica l’incremento del costo della vita. I due combinati significano disperazione economica, ed è esattamente la situazione che sta vivendo la Turchia. È forse il caso di cominciare a pensare che è su questo fronte, più che su quello della politica estera, che si giocherà il futuro della leadership del Paese, benché chi governa continui a far finta di nulla. La crisi pandemica continua, intanto, ad aggravare il quadro: dalla fine di agosto, il bilancio giornaliero delle vittime continua ad essere attorno ai 200 decessi. Il numero di nuovi casi, dai circa 20.000 prima della riapertura delle scuole, è ora di circa 30.000 al giorno (almeno 153.000 studenti sono stati messi in quarantena da quando le scuole hanno riaperto a settembre). Anche il quasi totale controllo sugli organi di informazione non potrà molto a lungo alterare il quadro realistico della situazione anzi, inizia a sembrare una sempre più fragile foglia di fico a copertura delle crepe del sistema.


Claudio Monge
NP novembre 2021

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok