La prima vittima

Pubblicato il 15-10-2022

di Edoardo Greppi

La terribile guerra in Ucraina ha riproposto interrogativi seri e drammatici su questioni come l’uso della forza, il mantenimento della pace, il ruolo dell’ONU.
All’indomani della Seconda guerra mondiale, con la Carta di San Francisco gli Stati hanno istituito le Nazioni Unite, dichiarandosi «decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità».

Nel 1928 vi era stato il tentativo di “bandire la guerra”, con il Patto Briand-Kellogg, un trattato multilaterale che riecheggia ancora nell’art. 11 della nostra Costituzione («l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»). Il patto, tuttavia, non aveva fermato la politica aggressiva del nazifascismo, e il mondo era scivolato nella catastrofe che ha portato oltre 50 milioni di morti.
L’ONU è stata, quindi, incentrata su un generale divieto dell’uso della forza «contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica degli Stati». Si trattava di un passo davvero storico, dal momento che il diritto internazionale non vietava la guerra. Anzi, essa era considerata una irrinunciabile prerogativa degli Stati sovrani. In tutti gli ordinamenti, nel governo vi era un ministero “della guerra”, accanto a quelli dell’interno, degli affari esteri, dell’istruzione e così via.

Con la nuova organizzazione internazionale, il divieto di uso della forza era accompagnato dall’istituzione di un “sistema di sicurezza collettiva”, incentrato su un organo politico – il Consiglio di sicurezza – dotato del potere di decidere, nelle situazioni di minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione, un uso della forza “legittima” contro gli Stati che non rispettassero il divieto. Il Consiglio è composto da 15 Stati, 5 dei quali (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) detengono un seggio permanente, con diritto di veto. Questa previsione ha determinato spesso la paralisi decisionale del Consiglio, che non è in grado di impedire che gli Stati facciano scelte unilaterali in contrasto con gli obblighi che pure hanno liberamente assunto.

Gli Stati – soprattutto i più potenti – sono inclini a intraprendere azioni al di fuori del sistema introdotto con la Carta dell’ONU. La guerra contro l’Ucraina rappresenta un conflitto di un tipo che la comunità internazionale sperava di essersi lasciata alle spalle, nella storia dell'Ottocento e del Novecento: una guerra di conquista territoriale, scatenata da uno Stato (la Russia) contro un altro Stato sovrano (l’Ucraina). A rendere ancora più grave la violazione della Carta, è il fatto che lo Stato aggressore è un membro permanente del Consiglio di sicurezza, la cui posizione di preminenza (compreso il diritto di veto) si fonda sul fatto che è uno dei detentori di maggiore potere e, quindi, di maggiore responsabilità nella condotta delle relazioni internazionali.

In queste settimane si sono anche levate voci che sollecitavano un intervento dell’ONU. Ma poiché lo Stato responsabile della violazione che si vorrebbe far cessare è membro permanente del Consiglio, questo evidentemente non è in grado di agire.
In alternativa, il 2 marzo scorso l’Assemblea generale (organo plenario nel quale tutti i 193 Stati siedono su un piano di parità, con diritto a un voto) ha adottato un risoluzione che chiede il ritiro immediato, completo e incondizionato delle truppe russe.
Hanno votato a favore 141 Stati, mentre Bielorussia, Corea del nord, Eritrea, Russia e Siria hanno votato contro, e 35 Stati si sono astenuti. Il problema è che le risoluzioni dell’Assemblea non hanno efficacia vincolante, sono semplici “raccomandazioni”.
Il successivo 16 marzo la Corte internazionale di giustizia (il principale organo giudiziario dell’ONU) ha ordinato “misure provvisorie”, chiedendo alla Russia l’immediata sospensione delle ostilità.

Dunque, a fronte dell’impossibilità di un’azione del Consiglio di sicurezza (il cui potere decisionale è e resta bloccato dalla Russia), ben due organi dell’ONU hanno chiesto il ritiro delle forze armate russe e la sospensione delle ostilità. Il presidente russo Putin, il cui potere dittatoriale non è limitato da contrappesi istituzionali interni, continua a ignorare questi forti richiami al rispetto delle norme che tutelano l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli Stati.
La parola, quindi, resta ancora alle armi, in un conflitto che vede uno Stato autore di un’aggressione e un altro che reagisce a titolo di legittima difesa (diritto riconosciuto dalla Carta dell’ONU come “naturale”, a fronte di un attacco armato). L’ONU assiste impotente, e il mondo guarda con angoscia a questa terribile tragedia, e invoca la pace.


Edoardo Greppi
FOCUS
NP giugno / luglio 2022

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok