La fragile zattera

Pubblicato il 12-02-2022

di Lucia Capuzzi

Tra il 31 ottobre e il 14 novembre, i leader internazionali si sono riuniti a Glasgow per la 26esima Conferenza Onu sul cambiamento climatico. Un momento cruciale per il presente e il futuro del pianeta e dell’umanità. Proprio lo scorso agosto, l’International panel on climate change ha lanciato un codice rosso: se non si raggiungerà la neutralità carbonica – ovvero l’azzeramento delle emissioni nette – non sarà possibile contenere l’aumento della temperatura entro la soglia di 1,5 gradi. Ogni ulteriore incremento causerà danni incalcolabili a interi pezzi di mondo e a milioni di donne, uomini e bambini.

È ancora possibile invertire la rotta?
Sì, dicono gli stessi scienziati. Ma urge un cambiamento. Per utilizzare un linguaggio evangelico, è necessaria una “metanoia”, un mutamento del cuore. La ragione, pur vedendo il problema, da sola, non è sufficiente per innescare la trasformazione. È imprescindibile sentire nel profondo le grida della terra e le grida dei poveri, i più colpiti dall’emergenza climatica. Dobbiamo imparare a “contemplare” la casa comune, ripete papa Francesco, accostarci ad essa con timore reverenziale, poiché è dono di Dio.
Per questo, lo stesso pontefice impiega il linguaggio della poesia per raccontarci il dramma dell’Amazzonia in Querida Amazonia. I versi possono essere scritti in parole. Oppure in immagini. Anamei, los guardianes del bosque è una poesia visiva lunga sessantatré minuti. Il documentario, appena uscito in Italia e in presentazione al Festival del cinema latinoamericano di Trieste, non solo racconta ma fa percepire allo spettatore, fin nell’intimo, la bellezza ferita dell’Amazzonia e la sua indomabile forza. L’autore, Alessandro Galassi, sceglie di narrare dal punto di vista degli indigeni. In particolare, di un piccolo popolo – gli Harakbut di Madre de Dios – decimati dal saccheggio delle risorse naturali, prima con la febbre del caucciù, ora con quella dell’oro. Le miniere illegali hanno ingoiato oltre 50mila ettari di foresta, trasformando gran parte della riserva della Tampobata in una landa di terra screpolata. Insieme agli alberi, il metallo prezioso divora le vite di centinaia di migliaia di donne e uomini, ostaggio del lavoro schiavo e della prostituzione forzata. Madre de Dios è, dunque, la metafora concreta di quanto crisi ambientale e crisi sociale siano intimamente collegate. Per questo, papa Francesco ha deciso di aprire là, nel gennaio 2018, il Sinodo sull’Amazzonia. Muovendosi con delicatezza da una sponda all’altra dell’Atlantico, dalla terra screpolata dalle cave al Vaticano, Alessandro Galassi cuce insieme queste storie con il filo rosso del mito, quello di Anamei, l’albero della salvezza. Ad Anamei si rivolse, al principio dei tempi, il popolo Harakbut per salvarsi dalla distruzione. E continua a farlo anche oggi per trovare la forza di resistere all’estrazione dell’oro. Il mito di Anamei costituisce l’asse portante del documentario, raccontato in audio dalla poetessa Ana Varela Tafur – i cui versi sono citati in Querida Amazonia, esortazione apostolica di papa Francesco – e in video da una grafica con disegni realizzati da bambini Harakbut.

La narrazione si snoda in quattro blocchi narrativi.
Il primo presenta la febbre dell’oro e il suo impatto devastante su ambiente e popolazioni native.
Il secondo nucleo narrativo si concentra sul viaggio di papa Francesco a Puerto Maldonado, capitale di Madre de Dios, gesto che ha attirato gli occhi del mondo sulla regione e il suo dramma.
La celebrazione del Sinodo, avvenuto a Roma nell’ottobre 2019, costituisce il terzo blocco del racconto. La portata storica di un confronto ecclesiale sulla spiritualità amazzonica, sulla saggezza profonda degli indigeni e sulla possibilità di un dialogo alla pari fra culture, è passato, purtroppo, in secondo piano nel tam tam mediatico. Le voci di Yesica e Delio e di altri esponenti indigeni riportano il confronto alla sua dimensione originale, ed esprimono lo stupore per le resistenze, dentro e fuori la Chiesa, alla prospettiva del papa che li considera custodi della Madre Terra e, pertanto, alleati indispensabili dell’umanità.
Nel quarto blocco narrativo il Covid flagella vecchio e nuovo mondo, a pochi mesi dalla conclusione del Sinodo.
La pandemia costringe l’umanità sulla medesima barca. Una zattera fragile, a causa della violenza con cui l’essere umano si accanisce sulla natura, provocando le zoonosi, all’origine del virus. In una piazza San Pietro deserta, Francesco cammina stanco sotto la pioggia. Non tutto, però, è perduto.
La salvezza è ancora possibile. Per tutti. Si tratta solo di avere il coraggio di sceglierla. E di cambiare. Insieme.
Un messaggio importante per i potenti della terra riuniti alla Cop26. E per ciascuno di noi.
 

Lucia Capuzzi
NP novembre 2021


Madre de Dios è una regione del Perù che ha come capoluogo Puerto Maldonado e fa parte dell’Amazzonia peruviana.
«Imparando dai popoli originari, possiamo contemplare l’Amazzonia e non solo analizzarla, per riconoscere il mistero prezioso che ci supera.
Possiamo amarla e non solo utilizzarla, così che l’amore risvegli un interesse profondo e sincero.
Di più, possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, allora l’Amazzonia diventerà come una madre». (Francesco, Querida Amazonia)

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