La fine di un'epoca

Pubblicato il 14-11-2020

di Paolo Lambruschi

Chiude la scuola italiana di Asmara, in Eritrea: una sconfitta per tutti.

 

La scuola italiana di Asmara in Eritrea ha chiuso i battenti. È una brutta notizia non solo per co- loro che hanno vissuto in Eritrea o che la conoscono, ma anche per chi ama l’Africa e pensa che la cooperazione e la cultura siano due strumenti per consentire la crescita dei Paesi più poveri. E l’Eritrea, che da almeno 19 anni è oppressa da un regime duro e autarchico che ha incarcerato gli oppositori, imposto un servizio di leva a vita che inizia a 18 anni mettendo in fuga sulle rotte migratorie la generazione di mezzo in un esodo biblico, è agli ultimi posti nelle classifiche dello sviluppo. 

 

La scuola era un istituto comprensivo – dalle elementari alle superiori – che contava fino all’anno scorso un migliaio di allievi circa, il 90% di nazionalità eritrea, il più grande istituto di scuola italiana all’estero gestito dal governo. Una istituzione storica, nata nel 1903 che ha funzionato per oltre un secolo sia durante il colonialismo italiano terminato nel 1941 e poi sia sotto l’amministrazione britannica che sotto il governo etiope prima del Negus e poi del dittatore marxista Menghistu. L’attività è continuata anche sotto il regime di Isaias Afewerki che domina l’Eritrea ormai dal 1992. Ufficialmente il governo eritreo si è risentito perché la dirigente scolastica italiana ha avviato in primavera la didattica a distanza causa Covid senza aver preavvisato il governo di Asmara. Ma questo pare un pretesto perché pochi giorni dopo lo stesso regime ha avviato la didattica a distanza precedendo unilateralmente dal trattato con l’Italia e revocando la licenza. Roma ha commesso errori, certo. Ha tagliato le spese nelle scuole all’estero e da tempo le cattedre all’Asmara restavano scoperte per mancanza di docenti disposti a trasferirsi in Eritrea, sostituiti da docenti locali abbassando la qualità. Ma da parte italiana si sostiene che il regime eritreo da tempo volesse chiudere la scuola, nonostante i programmi fossero concordati da una commissione bilaterale, per trasformarla in un mero erogatore di lezioni di italiano per l’élite del partito unico. Sta di fatto che alla fine di agosto la scuola ha chiuso i battenti per il prossimo anno dopo che sono stati sigillati i portoni dagli eritrei. 

 

Inutili, quasi controproducenti le richieste di chiarimenti all’ambasciatore eritreo a Roma e allo stesso presidente Afewerki con una lettera del premier Conte: il silenzio di Asmara è stato assordante. Un ko per la più grande scuola italiana all’estero, sui banchi della quale hanno studiato generazioni di eritrei e di italiani e dove si è cementata un’amicizia tra due popoli nell’epoca post-coloniale quando i connazionali nell’ex colonia erano decine di migliaia e hanno contribuito con il loro lavoro a trasformarla nella Svizzera d’Africa. Ho avuto il raro privilegio di visitare questo istituto, un pezzo di storia e cultura italiana nel Corno d’Africa durante un rocambolesco viaggio nel dicembre del 2018 quando dopo la pace firmata a luglio con l’Etiopia sembrava che il governo più impenetrabile del globo si aprisse all’esterno e la vice ministro degli Este- ri Emanuela del Re visitò il Paese. Vidi gli alunni orgogliosi di avere strumenti didattici moderni e di studiare li nono- stante sapessero che in Eritrea sarebbero rimasti solo fino al diploma per poi fuggire a cercarsi un futuro in terre straniere perché scuole come quella in Eritrea non ce ne sono. E questo è lo stesso regime autocratico e duro che l’anno scorso ha chiuso gli ospedali cattolici e ha cominciato a chiudere anche le scuole cattoliche. 

 

Parliamoci chiaro, la scuola riaprirà quando e se il tiranno darà il suo bene- stare. E questo è il problema, la scuola dà fastidio all’uomo forte che decide della vita dei sudditi e non ha mai riconosciuto l’imbarazzante svuotamento di giovani, il futuro del Paese. Perché è la scuola di un Paese libero che deve esportare i valori della propria Costituzione, bella e affascinante quanto la propria lingua e la propria millenaria cultura.

 

Paolo Lambruschi

Rubrica "Africa" - Nuovo Progetto, ottobre 2020

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