Il Paese prigione

Pubblicato il 14-10-2020

di Nello Scavo

I 10 comandamenti di Kim Jong-un sono facili da ricordare: non scappare; vietato l’assembramento di tre o più prigionieri; non rubare; obbedisci agli ordini delle guardie; avvisa subito quando vedi un estraneo o una persona sospetta; controllare gli altri e fare subito rapporto sui comportamenti insoliti di altri prigionieri; svolgere interamente tutti i compiti assegnati; i contatti tra uomini e donne, salvo necessità di lavoro autorizzate, sono vietati; pentirsi sinceramente dei propri errori; immediata fucilazione per chi viola le leggi del campo.

I dubbi sulla salute del giovane dittatore stanno riportando sulle pagine dei giornali gli interrogativi su cosa ne è di migliaia di coreani dissidenti. Almeno 150mila sarebbero nei campi di concentramento, condannati ai lavori forzati. Ai cristiani viene fatto un vero lavaggio del cervello. Sostituendo i Dieci Comandamenti del vecchio testamento con quelli che Kim Joung-un ha vergato per i dannati dei lager di Yodok, Bukchang, Kaechon e Chongori. Più volte ho provato a raccontare cosa accade ai cristiani che vivono in un Paese trasformato in una remota e impenetrabile prigione. Le storie che trapelano dai pochissimi fuggitivi sopravvissuti sono agghiaccianti. I più fortunati vengono rilasciati anni dopo, quando considerati pienamente “rieducati”. Gli altri vengono spediti a vita nelle “zone di controllo totale”.
Ogni anno il gruppo per i diritti umani Freedom House classifica i Paesi in base alla situazione dei diritti politici e delle libertà civili. La Corea del Nord è l’unica nazione a ottenere l’ultimo posto da oltre 30 anni consecutivi. Secondo l’organizzazione Reporter Senza Frontiere, la Corea del Nord occupa inoltre l’ultimo posto nella classifica relativa alla libertà di stampa. Il regime nordcoreano non si limita a punire il singolo. Ma viene condannata tutta la famiglia: genitori, nonni, figli. Tutti vengono spediti in campi di lavoro.
Alcuni hanno raccontato di avere visto prigionieri mutilati, altri sfigurati dalle torture. Il lavoro è svolto in gruppi e chiunque infrange una regola viene punito selvaggiamente. Devono essere i compagni di prigionia, sotto lo sguardo dei militari, a castigare brutalmente chi ha violato i “comandamenti”. I rapporti sessuali sono vietati, tranne che per i “prigionieri modello”. I neonati che nascono da relazioni clandestine vengono immediatamente soppressi e se una donna viene scoperta con una “gravidanza non autorizzata”, viene costretta all’aborto.

Queste migliaia di prigionieri rappresentano una forza produttiva a costo zero per il regime, che li impiega come schiavi in fabbriche, coltivazioni e miniere. Il cristianesimo, perciò, è uno dei principali nemici della tirannia. le informazioni sono frammentarie e spesso arrivano dopo molti anni, quando qualcuno riesce a fuggire. Nel 2014 oltre 30 persone sono state condannate a morte con una accusa specifica: «Avere cospirato per far cadere il regime creando 500 comunità familiari clandestine». In altre parole, per essersi riuniti in preghiera a piccoli gruppi. Nello specifico, secondo alcune fonti informative sudcoreane, almeno 33 (della cui sorte non si è più saputo nulla) avrebbero collaborato con Kim Jung-wook, un cittadino sudcoreano arrestato e accusato di aver creato comunità cristiane familiari clandestine. Kim, missionario cristiano-battista, sarebbe stato addirittura rapito da agenti nordcoreani in territorio cinese, nella città di confine Dandong e portato in Corea del Nord.
Il cristianesimo è una religione intrinsecamente incompatibile con qualsiasi forma di autoritarismo. La tirannide nordcoreana non può perciò permettersi l’espansione di una simile minaccia.

La condanna a morte dei “cospiratori” cristiani è arrivata poco dopo la liberazione del missionario australiano John Short, espulso in Cina dopo essere stato detenuto per vari giorni in Corea del Nord con l’accusa di aver diffuso volantini sovversivi in un tempio buddista e a bordo di un treno. Kenneth Bae, missionario americano, è stato rilasciato nel novembre 2014 dopo due anni di prigione. Avrebbe dovuto scontare una pena a 15 anni, ma trattandosi di un cittadino straniero, Pyongyang ha preferito dargli una lezione e fare in modo che venisse resa nota al mondo.


Nello Scavo
NP agosto / settembre 2020

INFO

Un Paese, due Stati
La Corea ottenne l’indipendenza dal Giappone nel 1945. Nel 1948 il Paese fu diviso in due Stati auto¬nomi, il nord divenne la comunista Repubblica Popolare di Kim-Il-Sung e il sud la filoamericana Repubblica di Corea, retta dittatorialmente dal presidente Syngman Rhee. Nel 1950 la Nord Corea tentò con la forza l’unificazione dell’intera penisola, invadendo la Corea del Sud e dando inizio alla Guerra di Corea, che durò tre anni e vide coinvolte anche America e Cina. Alla fine furono confermati i confini pre-esistenti e fu creata un’area di 4 chilometri lungo tutto il confine, conosciuta come Zona Demilitarizzata, che fu per altri 45 anni una zona di continui conflitti. Il regime politico della Corea del Nord continua ad essere nelle mani dei discendenti di Kim Il-Sung, il “Grande Leader”, eroe della resistenza anti-nipponica e creatore dell’ideologia del Juche (autosuffi-cienza). Alla sua morte, nel 1994, gli è succeduto il figlio Kim Jong-il, il “Caro Leader”, convinto seguace del programma nucleare del padre. Dal 2011 è al potere il suo terzogenito Kim Jong-un, il “Brillante Compagno” o “Supremo Leader”.

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