Il grande esodo

Pubblicato il 29-12-2021

di Paolo Lambruschi

Vent'anni fa iniziava l'esodo di un popolo africano dimenticato dall'Italia eppure legato in modo indissolubile al nostro Paese. Lo scorso 18 settembre ricorreva l'anniversario dell'arresto in Eritrea degli oppositori politici e dei giornalisti critici nei confronti del regime del partito unico guidato dal presidente Isaias Afewerki. La loro colpa? Chiedere dopo 10 anni di indipendenza e due di guerra di voltare pagina, applicando la costituzione, istituendo un sistema democratico con libere elezioni. Di loro non si è più saputo nulla.

La data non venne scelta a caso, Afewerki approfittò dello choc globale per l'attentato alle Torri gemelle dell'11 settembre per trasformare il suo Paese – l'ex colonia primigenia italiana che pure aveva guidato in una vittoriosa guerra di indipendenza dall'Etiopia neppure 10 anni prima e poi condotto in una guerra disastrosa contro la stessa Etiopia dal 1998 al 2000 – in una dittatura chiudendo tutti i media indipendenti. Sei anni più tardi diede il secondo giro di vite chiudendo l'università ed espellendo tutte le Ong straniere e i missionari più giovani.
Ossessionato, come il Pakistan dall'India, dall'Etiopia in cui fino al 2018 governava il Tplf, il partito guida del vicino Stato regionale e fratello del Tigrai (l'etnia dominante, gli eritrei dell'altopiano dove sorge la capitale Asmara, sono tigrini), il regime totalitario eritreo ha trasformato il Paese in uno Stato caserma con un servizio di leva a vita dai 17 anni ai 50. È lo Stato a decidere quali saranno gli studi e il lavoro del cittadino, come nei regimi comunisti, perché l'ideologia del regime a partito unico è di stampo maoista mentre è stalinista l'ossessione per il controllo dei cittadini, spiati e arrestati a ogni minimo accenno di dissenso.

Questa assenza totale di libertà, l'impoverimento dovuto alla statalizzazione della proprietà privata, dei mezzi di produzione e persino della vita dei cittadini e all'embargo cui è stata sottoposta l'Eritrea dopo il 2008 per aver addestrato e armato i terroristi islamici somali di Al shabaab, ha fatto precipitare la florida ex colonia italiana agli ultimi posti nelle classifiche di sviluppo. Altro record dell'Eritrea, l'ultimo posto nell'indice della libertà di stampa di Reporters sans frontières. Dal 2001 è iniziato un flusso migratorio senza precedenti dall'Eritrea, una fuga di massa dei giovani. Molti eritrei si sono diretti in Africa, altri hanno provato a raggiungere l'Europa attraverso la Libia di Gheddafi fino alla fine degli anni 2000. Poi dopo l'accordo per bloccare i migranti con il governo italiano allora guidato da Berlusconi, hanno tentato di passare dall'Egitto e poi da Israele passando per il deserto del Sinai dove, però, iniziarono i rapimenti di migranti sub sahariani da parte di gang di predoni beduini che chiedevano riscatti altissimi arrivando a uccidere e ad espiantare gli organi di chi non riusciva a raccogliere abbastanza denaro dai parenti contattati dai banditi mentre torturavano i congiunti. All'inizio dello scorso decennio quel meccanismo infernale di sequestri e traffico si è spostato in Libia dopo la caduta di Gheddafi vedendo sempre vittime gli eritrei. Due esempi. Dalla Libia partirono i 367 eritrei morti a Lampedusa nel naufragio del 3 ottobre 2013. E metà dei quasi mille morti del peschereccio strapieno naufragato il 18 aprile 2015 erano eritrei. L'Eritrea ha perso così circa un quinto dei suoi cinque milioni di abitanti in 20 anni e vive soprattutto di rimesse. Ho avuto la fortuna di visitare tre giorni Asmara nel dicembre 2018 in uno spiraglio di apertura dopo la pace voluta dal premier etiope Abiy Ahmed. Era ed è una piccola, meravigliosa città sospesa, ma triste. Senza giovani e adulti, solo anziani e minori. Gli altri sono fuggiti e fuggono da guerre – l'ultima contro il Tigrai – oppressione e miseria figlie della dittatura.


Paolo Lambruschi
NP ottobre 2021

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