Garanzia di anonimato

Pubblicato il 17-10-2021

di Stefano Caredda

Per chi aspira a diventare giornalista è una lettura obbligata, da studiare nel dettaglio e poi da applicare con scrupolo. Per tutti i cittadini, e in particolare per figli e nipoti, è una forma di tutela fondamentale, perché i rischi di un'esposizione mediatica senza controllo – già altissimi per ogni persona – diventano incalcolabili quando ad essere protagonisti dell'informazione sono bambini e adolescenti. A qualcuno forse sarà sfuggito, ma ci sono regole molto precise a delineare i contorni della presenza dei minori sui mass media: applicate scrupolosamente la maggior parte delle volte, inopinatamente ignorate alcune altre, troppe, con conseguenze negative per i diretti protagonisti. Il "tagliando" della "Carta di Treviso", il documento deontologico che da oltre 30 anni disciplina i rapporti fra informazione e infanzia, e che si avvia in queste settimane verso un aggiornamento, è l'occasione buona per scorrere quelle norme così importanti e ricordarle, in modo da usarle e da invocarle.

Oggi i profondi cambiamenti intervenuti nell'informazione multimediale, caratterizzata da velocità crescente, impongono ai giornalisti di prestare ancora più sensibilità e attenzione nell'osservanza dell'obbligo di tutelare i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Il principio cardine è semplice: da un lato c'è la libertà d'informazione, che nel nostro ordinamento si configura come diritto e al tempo stesso come dovere; dall'altro lato c'è la protezione dei bambini e degli adolescenti, che è così fondamentale che ne viene sancita la prevalenza, parlando di «superiore interesse dei bambini e degli adolescenti» alla tutela dei loro diritti.

La regola vuole la garanzia dell'anonimato, della riservatezza, della protezione dei dati personali e dell'immagine del minorenne in qualsiasi veste coinvolto in fatti di cronaca, necessità che permane tale sia in casi di «violenza, reati sessuali e fatti di straordinario interesse pubblico», sia in casi non aventi rilevanza penale. Pensate, il giornalista deve «in ogni caso» tutelare l'interesse del minorenne, evitando fenomeni di spettacolarizzazione, sovraesposizione e strumentalizzazione, e tutto ciò «a prescindere dal consenso del genitore». Il via libera del padre e della madre all'esposizione mediatica del figlio non esime cioè il professionista dell'informazione dalla responsabilità di valutare se essa produce conseguenze negative per il minore: e ciò vale sempre, anche nei casi di interviste o di partecipazione di bimbi e ragazzi a trasmissioni televisive o manifestazioni pubbliche. Una responsabilità non da poco. E poi, sempre usare un linguaggio rispettoso della loro dignità, sempre evitare pregiudizi e stereotipi, e farlo in ogni circostanza, si tratti di minori vulnerabili (con disabilità, stranieri, orfani di crimini), di minorenni coinvolti in affidamenti, adozioni e separazioni, di minorenni autori di reato. Sempre e comunque no sensazionalismi e no sfruttamento mediatico. Si è vero, talvolta non accade. Ma anche per questo è importante, queste cose, continuare a dirsele.


Stefano Caredda
NP giugno/luglio 2021

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok