Ciad instabile

Pubblicato il 08-09-2021

di Paolo Lambruschi

In Ciad, Paese povero quanto strategico dell'Africa saheliana, posto accanto al Niger e al confine meridionale della Libia, alle porte del Corno d'Africa e della Repubblica Centrafricana, è arrivato il disordine e l'Europa trema. Da sempre importante alleato francese, il Ciad è stato scosso il 20 aprile dall'uccisione del presidente Idriss Déby, 68 anni – al potere per tre decenni, appena rieletto per la sesta volta – morto ufficialmente in battaglia dopo essere stato colpito mentre combatteva i ribelli del Fact provenienti dalla Libia. Deby era solito seguire i combattimenti in prima linea, ma la versione ufficiale è stata messa in discussione da molti osservatori e dagli oppositori perché l'uccisione non è avvenuta in circostanze chiare. È stato ammazzato con 23 colpi di arma da fuoco nonostante la folta scorta che lo accompagnava.

L'esercito ha nominato il figlio Mahamat, noto anche come "generale Kaka", capo della guardia presidenziale, a capo di una commissione che guiderà il Paese per 18 mesi fino alle elezioni in quello che è stato definito dagli oppositori e da molti osservatori un colpo di stato istituzionale. Il governo e il parlamento sono stati sciolti, ma i costituzionalisti dicono che era lo speaker del parlamento che avrebbe dovuto subentrare come reggente alla morte del presidente in carica per organizzare le elezioni. Intanto i ribelli proseguono la loro marcia verso la capitale 'Ndjamena. Presenziando ai funerali di Deby – impopolare per la sua politica di repressione, ma attento distributore dei proventi del petrolio a fini clientelari – il presidente francese Macron ha comunque dato un segnale di sostegno alla nuova giunta militare.

Perché l'Europa, a partire dalla Francia, è preoccupata dalla instabilità di una Nazione così lontana e povera? Per tre motivi. Il primo è la presenza sempre più forte e destabilizzante dei jihadisti nel Sahel. Il secondo riguarda il controllo dei flussi migratori provenienti dall'Africa occidentale e dal Sudan e che qui si incrociano in uno snodo cruciale. Il terzo è il petrolio del sud del Ciad e le risorse minerarie ad esempio del Niger e della Repubblica Centrafricana. Il primo e il secondo motivo sono legati. Dallo scorso agosto gli attacchi in tutto il Sahel dei jihadisti ai villaggi rurali hanno messo in fuga decine di migliaia di persone, famiglie con bambini, profughi o sfollati, che vanno ad aggiungersi ai migranti politici, economici e ambientali in movimento verso il Nordafrica e il Mediterraneo da Nigeria, Camerun, Ghana e Costa d'Avorio. A loro si uniscono i sudanesi. Sono tutti diretti in Libia, ma spesso si fermano in Ciad, mi raccontava un profugo sudanese in un campo dell'Unhcr a pochi km da Niamey, in Niger, fuggito appena 16enne dal Darfur.

Infatti il confine tra Ciad e Libia non è più presidiato dalla morte di Gheddafi e questo alimenta traffici di ogni tipo, a partire da quello di esseri umani. Lui si era fermato due anni a lavorare come cameriere al confine prima di racimolare i soldi per passare, venire schiavizzato in Libia, ammalarsi ed essere poi salvato dall'Onu. In Niger aspettava di partire con i corridoi umanitari. Il presidente Deby combatteva i terroristi e faceva il guardiano dei confini per conto dell'Ue. Forse ci sono i turchi dietro la sua morte, sospettano gli analisti, che vorrebbero far passare più migranti in Libia, dove sono tornati padroni dopo oltre un secolo, per destabilizzare l'Ue ed estorcere soldi a Bruxelles per fermarli.
O i russi, interessati alle miniere centrafricane e all'uranio del Niger a scapito dei francesi. L'Africa post pandemia rischia di essere ancora quella dei conflitti dimenticati per la paradossale maledizione delle risorse che vuole che i Paesi più poveri siano i più ricchi nel sottosuolo. Un continente ancora lontano dalla pace e dalla solidarietà che l'Ue è brava a proclamare, meno a praticare.


Paolo Lambruschi
NP maggio 2021

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