Carne, riso, terra e CO2

Pubblicato il 17-03-2022

di Sandro Calvani

Cinquant'anni di ricerca del cibo giusto

Agli inizi degli anni '70, Giorgio Nebbia e p. Bartolomeo Sorge, influenzati anche da Aurelio Peccei, furono tra i maggiori ispiratori della breve svolta ecologica della Chiesa, espressa in diverse conferenze internazionali e consultazioni delle Nazioni Unite. In quel clima da pionieri, nel 1985, un docu-mento Contro la fame, cambia la vita, che avevo scritto con alcuni amici di diverse espressioni ecclesiali italiane, soprattutto quelle dette allora “terzomondiste”, della solidarietà, gruppi e istituti missionari, ribadì la centralità dei nostri consumi e stili di vita nella giustizia globale. Quel documento di 46 pagine conteneva diverse proposte per uno stile di vita più sobrio, comprese le scelte alimentari, una transizione verso una economia sostenibile e inclusiva, e analizzava modi per preservare l'ambiente, l'acqua, le fonti di energia e abbastanza cibo per tutta l'umanità. Partivamo da un'analisi delle cause della fame nel mondo: erano gli anni della più grave carestia del dopoguerra, quella in Etiopia.

Nel 1987 il concetto dello sviluppo sostenibile divenne il messaggio centrale del Rapporto Brundtland alle Nazioni Unite. Nel 1991 Giorgio Nebbia presentò i principali connotati della sostenibilità nel suo libro Sviluppo sostenibile e nelle conclusioni insistette proprio sul bisogno di cambiare stili di vita. Ma la questione dei consumi di cibo, il tema davvero più quotidiano degli stili di vita, rimase per oltre cin-quant'anni di basso profilo. Tutti i miei amici, sia i politici che gli accademici, sono unanimi, nel ricordarmi che “la questione dei gusti a pranzo e a cena è troppo divisiva”. Ancora oggi il dialogo tra carnivori, onnivori, paleotariani, pollotariani, pescatariani, flexitariani, fruttariani, vegetariani, vegani, kosher, halal e decine di altre preferenze alimentari è difficile e quasi inesistente.

I circa 2 miliardi di asiatici appartenenti alla classe media nel 2021 aumenteranno fino a circa 3,5 miliardi entro il 2030. Da consumatori relativamente benestanti essi influenzeranno le tendenze del consumo alimentare globale legate alla salute, alla sostenibilità e all'innovazione tecnologica.

I Paesi asiatici hanno una lunga storia di diete ricche di verdure e scarse di carni.

L'Asia-Pacifico rappresenta attualmente il 92% del mercato mondiale dei sostituti della carne, a causa della forte domanda di tofu nella regione. L'India è in cima alla classifica mondiale per il più alto tasso di vegetariani che rappresentano il 38% della popolazione del Paese. E in tutta la regione, oltre un terzo di tutti i consumatori segue diete con poca carne o del tutto prive di carne. I vegetariani in Asia mangiano da secoli prodotti a base di soia come fonte di proteine, il che ha gettato una buona base per l'accettazione delle alternative alla carne a base di soia e di altri nuovi prodotti proteici nella regione.

In termini globali, tuttavia, i vegetariani costituiscono attualmente una percentuale relativamente piccola della popolazione, con solo il 4% dei consumatori che si identifica come “vegano” e il 6,4% come “vegetariano”. D'altra parte, le persone che cercano di diversificare la loro dieta con più opzioni a base vegetale senza seguire una dieta vegetariana o vegana rigorosa – i cosiddetti flexitariani o riduttori di carne – costituiscono un gruppo molto più grande, che rappresenta il 42% dei consumatori a livello globale nel 2020. Una motivazione citata dai flexitariani è una crescente consapevolezza dell'impatto ambientale della conversione della terra in agricoltura, con la relativa deforestazione e perdita di biodiversità. Our World in Data stima che l'adozione di una dieta a base vegetale potrebbe ridurre l'uso del suolo agricolo del 75%.

Sandro Calvani
NP Dicembre 2021

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