Capitale civico

Pubblicato il 30-09-2020

di Pierluigi Conzo

Uscire di casa o meno nel pieno della pandemia è una decisione simile a quella di cooperare o meno per la produzione di un bene pubblico. Così come per godere dei servizi pubblici – come, ad esempio, la sicurezza – occorre pagare le tasse e quindi cooperare per sostenerne le spese, anche per tutelare la salute dei cittadini e non sovraccaricare il sistema sanitario occorre che tutti cooperino per limitare il contagio, sostenendo i costi personali associati alla limitazione della propria mobilità. Se anche solo una persona non lo facesse, essa godrebbe sì della riduzione del contagio risultante dal sacrificio degli altri, ma metterebbe a serio rischio la salute collettiva, vanificando gli sforzi di chi, invece, ha scelto di cooperare restandosene a casa. Una situazione, questa, simile a quella del “free riding” che spesso si realizza quando, ad esempio, non si paga il biglietto sull’autobus oppure, più in generale, non si pagano le tasse connesse alla fruizione di un qualsiasi altro servizio di pubblica utilità.

Comunità poco propense a cooperare sono comunità dove è spesso difficile realizzare progetti, politiche e infrastrutture volte al beneficio collettivo.
Escludendo i casi in cui la mobilità non è una scelta interamente dipendente dalla libera volontà dell’individuo (come ad esempio chi ha lavorato nella logistica durante la pandemia), la decisione relativa a se e quanto limitare i propri spostamenti può “in parte” dipendere dal senso civico di chi vuole rispettare il distanziamento sociale per evitare di contagiare gli altri. Sottolineo “in parte”, perché c’è anche un’altra (legittima) motivazione – forse più individualista – nella scelta di restare a casa: evitare di essere contagiati.

La prima motivazione, cioè quella strettamente orientata al bene comune, può essere funzione del livello di “capitale civico” di una determinata zona: a parità di numero di contagi e decessi, in una città ci può essere più o meno mobilità a seconda di quanto i cittadini siano disposti a rinunciare ad un beneficio privato immediato (es. andare al bar) per un vantaggio collettivo (diminuzione di contagi). È questa l’ipotesi testata in un recente articolo scientifico volto a studiare come il capitale civico influenzi il livello di adesione al distanziamento sociale in Italia.

Attraverso i dati sulla mobilità delle provincie italiane tra gennaio e maggio 2020 ottenuti tramite geolocalizzazione del cellulare, gli autori analizzano come la mobilità sia cambiata prima e dopo alcune date importanti nell’evoluzione del virus e delle politiche volte a limitare il contagio, comparando altresì provincie ad alto e basso capitale civico. Quest’ultima caratteristica è stata misurata aggregando i dati sulla fiducia, sulle donazioni di sangue e sulla diffusione dei giornali a livello provinciale. I risultati mostrano che il distanziamento sociale è stato volontariamente rispettato già a partire dal 21 febbraio, quando si è diffusa la notizia del primo caso di Covid-19 a Codogno. La mobilità si riduce drasticamente, poi, a partire dal 9 marzo, data dell’inizio ufficiale del lockdown.

Riguardo alle differenze tra provincie con più o meno capitale civico, gli autori mostrano che a parità di diffusione del virus e di altre caratteristiche economiche e sociali, la riduzione della mobilità è stata maggiore nelle provincie con più alto capitale civico. È importante sottolineare che questa differenziazione non riflette necessariamente la classica divisione nord-sud in termini sia di capitale sociale sia di diffusione del virus, in quanto entrambe queste variabili sono tenute in considerazione e “neutralizzate” nell’analisi statistica condotta dagli autori.

Sembrerebbe quindi che gli italiani abbiano ridotto la propria mobilità prima in risposta all’informazione sulla presenza del virus nel Paese e poi (ulteriormente) in reazione al distanziamento sociale quando questo è stato reso obbligatorio su tutto il territorio nazionale. Entrambe queste reazioni sono state più forti nelle comunità ad alto capitale civico, perché secondo gli autori, gli individui con più alto senso civico sono più propensi a rispettare le nuove regole e più consapevoli del fatto che le proprie scelte di mobilità possano avere delle ricadute sul benessere delle altre persone.

Pierluigi Conzo
NP agosto / settembre 2020

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