Buona strada, amico

Pubblicato il 13-06-2022

di Redazione Sermig

A little over a year ago David Sassoli was a guest of the Arsenale della Pace with the young people of the University of Dialogue

Ci conoscevamo e stimavamo da tanti anni, da una serata dell’ottobre 2008 quando gli avevamo chiesto di moderare un confronto tra esponenti politici di ogni schieramento e personalità del mondo economico in merito alla grave congiuntura finanziaria mondiale allora in corso.

Un legame d’amicizia che si è rinnovato nel tempo ed è sfociato nel confronto – questa volta virtuale causa covid – del dicembre 2020.

David, come hanno evidenziato le innumerevoli persone che a vario titolo lo hanno ricordato dopo la sua prematura scomparsa, è stato davvero un uomo di dialogo che ha portato in alto il nome dell’Italia in Europa.

Parlando del futuro dell’Europa, riportiamo le sue parole pacate ricche di realismo, ma soprattutto di speranza.

«La crisi sarà molto profonda, lunga e faticosa e dovremo cercare di renderla il meno pericolosa possibile. L’Unione europea è lì per questo». Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli va al cuore del problema: la pandemia è un punto di non ritorno, i suoi effetti si faranno sentire per anni. In un contesto così delicato l’orizzonte comune del continente diventa ancora più importante. Dopo alcuni mesi di incertezza, l’Unione europea ha messo in campo strumenti mai visti per aiutare i Paesi colpiti dal Covid. Solo per l’Italia ci saranno oltre 200 miliardi, un’opportunità mai vista. «Però l’Europa non può essere solo un bancomat», dice il presidente Sassoli. «Le risorse sono certamente importanti, ma non bastano. Dobbiamo ripartire dai nostri valori. Il mondo ha bisogno di questo».

«Abbiamo tutti una responsabilità nei confronti degli altri. Dobbiamo tutti sentirci parte di un problema comune. In questi mesi, l’opinione pubblica europea si è accorta di come l’Unione si sia concentrata nel cercare risposte in grado di affrontare e risolvere la crisi.

Ogni Paese deve sentirsi coinvolto. Anche perché gli investimenti non arriveranno a pioggia. I soldi saranno elargiti ai 27 Stati membri in proporzioni diverse per fare due cose: avviare il motore della ripresa delle economie nazionali e rendere così l’Europa ancora più forte e più resiliente. In questo modo il continente continuerà a essere uno strumento di pace. Non possiamo naturalmente imporre niente a nessuno, ma vogliamo partecipare a un mondo che ha bisogno di regole, perché una globalizzazione senza regole farebbe soltanto gli interessi dei più forti. Io sono fiducioso, credo che se riusciremo al nostro interno ad avere sempre più politiche comuni questo avrà come ricaduta una ripercussione anche sulla politica internazionale. Non possiamo prescindere dagli interessi – lo dico con pudore ma anche con realismo – sappiamo che le Nazioni europee non nascono dal nulla e conosciamo la loro storia, i loro posizionamenti. Però siamo in un momento favorevole per ragionare anche su questi temi. Sia chiaro, noi non saremo mai un gigante aggressivo. L’Europa potrà far valere il suo peso economico e mettere i suoi valori a disposizione degli altri, ma non saremo mai una macchina da guerra.

Questo ci viene anche riconosciuto. Quando c’è un conflitto, si sa che ci si può fidare dell’Unione Europea, che è in grado di far dialogare le parti in causa. Ecco perché dopo 70 anni e dopo aver goduto di una straordinaria stagione di pace, forse possiamo restituire al mondo qualcosa e pos-siamo farlo solo con questo temperamento, non con altro».

Ciao David!

Come ti hanno raccomandato i tuoi figli, “buona strada”. E grazie per averla percorsa anche con noi.

Redazione NP

NP Febbraio 2022

 

Come cattolico e laico ha percorso la strada indicata da don Milani. L’ho incontrato, la prima volta, sulle pendici delle colline di Mondovì. Erano gli anni ‘90: c’era stato un rapimento. Lui inviato del Tg1, io della TgR a servizio del 2 e del 3, allora come ora “badilante della notizia”.

Era un collega garbato, buono e tenace. Abbiamo condiviso il microfono per le dirette (c’era solo quello!), la tensione della cronaca, l’ansia di informare.

Quante telefonate quando conduceva il Tg1, da vicedirettore, da collega. Era professionale, ma anche ironico, semplice, con l’orto della sua casa a Sutri che coltivava nei ritagli di tempo. Una moglie, Alessandra, conosciuta al liceo, due figli, la passione per il giornalismo, l’occhio alla politica che gli ha regalato 850mila preferenze in Europa.

Sarebbe venuto a Torino e all’Università del Dialogo, all’Arsenale della Pace. Il Covid ha cancellato tutto lasciando solo un “collegamento”. L’ultimo saluto a Torino.

David Sassoli ha una lunga storia che si dipana tra i Tg e le vite degli altri. È uno di quei giornalisti che non hanno mai ferito nessuno nei sentimenti, anche nelle situazioni molto difficili. Era semplice, uno di noi, genuino, verace, coinvolgente, ostinato. E, diciamola tutta, anche quando ha avuto ruoli grandi e impegnativi, non ha mai perso il suo stile di uomo normalmente immerso nel mondo del potere europeo, non ha mai dimenticato le sue battaglie per entrare nel circolo dei giornalisti e, soprattutto, non ha ma smesso di difendere i più deboli, gli ultimi, i dimenticati. E lo ha fatto con disarmante umiltà anche se era, ed è stato, “un cavallo di razza” dell’informazione. Grazie David! Ho visto altri perdere equilibrio, sobrietà, equidistanza e mescolare sentimenti che non sono propri di un giornalista. Lui, no! E poco importa se ora, qualche presunto no vax, lo offende via social con frasi che si commentano da sole.

Da volto familiare del Tg1 a presidente del Parlamento europeo: la sua è stata una vita divisa fra il giornalismo e la politica, a cavallo fra Firenze, Roma e Bruxelles fino a diventare, nel 2019, presidente dell'Europarlamento.

Nato nel capoluogo toscano il 30 maggio 1956, ha frequentato da giovane l'Agesci, Associazione guide e scout cattolici italiani. Il padre era un parrocchiano di don Milani e lui ha cominciato, fin da giovane, a lavorare per piccoli giornali e in agenzie di stampa prima di passare a “Il Giorno” e poi fare il grande salto in Rai. Fiorentino di nascita ma romano di adozione, era diventato un volto noto alle famiglie italiane soprattutto per la sua conduzione del Tg della rete ammiraglia della Rai, di cui è stato anche vicedirettore durante l'era di Gianni Riotta.

L’aria del bravo ragazzo, il look che riflette le sue scelte, da sempre nel centro sinistra, ha scritto pagine di una bella informazione e fa parte di una stagione di anchormen che la nostra generazione non dimenticherà mai: erano gli anni delle grandi svolte politiche, della crisi a raffica, dell’euro e di tante illusioni e lui stava in tv a sfogliarci le vicende del mondo. E lo ha fatto benissimo.

Gian Mario Ricciardi

NP Febbraio 2022

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