John Lee Hooker - One bourbon, one scotch, one beer

Pubblicato il 02-11-2021

di Gianni Giletti

Tu prendi un contenitore fatto di 12 immortali battute, sempre uguali sempre quelle, lo cacci in Nord America a partire dal 19° secolo e lo lasci lì, alla mercè di tutti.
Dopo un po’ ti accorgi che succede qualcosa, questo “scatolone” produce una quantità senza senso di musica, parole, stati d’animo, vite usate, bruciate, vissute, strumentisti inarrivabili, cantanti spezzacore… eccetera. 
E poi ti accorgi che lo scatolone mica resta confinato lì, si espande in tutto il mondo, cambia testa, faccia, vestito, strumenti, timbro e utilizzo, ma il cuore resta sempre lo stesso.
Te lo ritrovi che gira per il mondo, giapponesi e svizzeri che producono Festival Blues come se piovesse, gente di ogni dove, razza e dimensione che butta fuori blues – perché così si chiama lo scatolone – a raffica.
E non capisci perché.
Il problema serio però è che anche tu resti contagiato, il blues ti scorre nelle vene e ti graffia l’anima, come i chitarristi blues graffiano le loro chitarre.
Tutto questo spiegone per un grande, un uomo che in 84 anni di vita ha prodotto ben 133 album di “scatolone” e che fino a tre giorni prima di morire, era su un palco a suonare e cantare.
Grazie, John Lee.

 

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Il brano di per sé non è tra i più famosi, ma in questo disco non ce n’e uno debole per cui, anche qui si gusta davvero il rock d’annata.

Grandi.

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