Squali e mojito

Pubblicato il 11-10-2024

di Mauro Tabasso

È un assolato pomeriggio d’estate, la sabbia arde sotto i piedi e la calura offusca i contorni della spiaggia affollata. Ci vorrebbe un dissetante mojito per cercare di spegnere la sete e i pensieri, ma nemmeno il lime e la menta fresca sarebbero sufficienti a rinfrescarci. Forse un bel tuffo nel blu infinito che si distende davanti a noi… Semplice, vero? Per molti sì, ma non per tutti. Esiste infatti una categoria di persone che soffre di selacofobia, ovvero il terrore nei confronti degli squali, che rende loro impossibile persino bagnarsi a riva. Questi predatori, grandissimi figli di un dentista, dagli occhi inespressivi e dalle movenze rapide, popolano in effetti il nostro immaginario più pauroso.

Sin dai tempi di Omero, le creature degli abissi, che nuotano nelle profondità senza colore, hanno un che di demoniaco, ed hanno ispirato svariati racconti epici sulle traversate in mare almeno fino all’Ottocento. Ma è dal 1975, con l’uscita del film Lo Squalo di Steven Spielberg, che la paura dell’ignoto proveniente dagli abissi assume più nettamente le sembianze di questo predatore. A comporre l’inquietante colonna sonora di questa celebre pellicola è John Williams, che affida a due semplici note (Mi e Fa), il compito di trasmettere allo spettatore un angosciante senso di pericolo. Due note che distano fra loro soltanto un semitono, capaci però di creare una tensione molto forte, proprio tramite lo spostamento lievissimo di intonazione dall’una all’altra, in una ripetizione sinistra e minacciosa.

E dire che, quando John Williams propose a Spielberg la sua idea per il tema, il regista, convinto si trattasse di uno scherzo, gli rispose con una risata. Sembrava impossibile che un’idea tanto semplice, ovvero l’uso ripetuto di un semitono, potesse sortire un effetto così terrificante. Williams affidò l’esecuzione del tema a una tuba, che doveva così suonare le note più alte che era in grado di eseguire. Lo spettatore, udendo quelle due note sinistre si aspettava immediatamente l’arrivo del carnivoro. E Williams conosceva bene anche le potenzialità espressive del silenzio: solo alla fine, durante l’attacco finale dello squalo alla barca dei suoi cacciatori, la musica tace, creando un effetto ancor più intenso. Nella memorabile scena della gabbia, utilizzata dal biologo marino Matt Hooper (Richard Dreyfuss) per calarsi sott’acqua in sicurezza, la musica si integra genialmente con le immagini: appena la gabbia viene attaccata dallo squalo sono gli archi acuti e stridenti a dar voce alle grida di paura del biologo, soffocate nella maschera da sub. E ad accompagnare le immagini della gabbia danneggiata è una musica veloce, senza pause, accelerata come i battiti cardiaci del povero Matt, la cui risalita verso la superficie e verso la salvezza è sottolineata poco dopo dalle note veloci di un’arpa, che evoca il moto ondoso del mare.

La musica di John Williams, insomma, ci costringe per tutto il film a brevi ma frequenti esercizi di apnea, come quando ci immergiamo brevemente a contemplare la bellezza della natura sommersa. A proposito, non era il momento di rinfrescarsi con un tuffo? Perciò a quel triste squalo dipinto in modo così perfido, ora vorrei dire (prendendo a prestito una battuta tratta da un altro celebre film su questi simpatici animali acquatici – Shark tale – film a cartoni animati del 2004): «Viè qua, appinnami!!!!».

Mauro Tabasso
con Valentina Giaresti
NP giugno / luglio 2024

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