Gli ambasciatori di Seul

Pubblicato il 26-12-2024

di Mauro Tabasso

Sono sette giovani uomini, fra i 25 e i 30 anni, visi belli e puliti, modi educati. Si fanno chiamare Bangtan Sonyeondan, “Ragazzi a prova di proiettile”, ma i più li conoscono come BTS, il gruppo più famoso al mondo di k-pop, genere che fonde pop occidentale, rock, jazz, gospel, musica giapponese e molto altro. I bts da soli concorrono per lo 0,3% al PIL annuale della Corea del Sud.

I loro fan si chiamano army, un esercito di 90 milioni di persone, schierato ormai in ogni angolo del pianeta, dal momento che parliamo della band più premiata di sempre agli mtv Awards, con volumi di vendite paragonabili a quelle dei Beatles, ovvero 44,9 milioni di dischi venduti a settembre 2023. Non suonano strumenti, né hanno un frontman; tutti e sette ballano ma solo alcuni, gli “idol”, cantano. E i loro brani affrontano temi impegnati, come la competitività fra gli studenti e la salute mentale delle giovani generazioni. Il K-pop è una vera e propria industria culturale, volta a proiettare l’immagine della nazione coreana in tutto il mondo, come Hollywood per gli Stati Uniti o come il cinema neorealista per l’Italia, che, come sottolinea la scrittrice Michela Murgia, nel dopoguerra ha saputo creare l’immagine di un Paese vittima anziché culla del fascismo. 

Nel 2017 i BTS sono diventati ambasciatori dell’UNICEF per una campagna contro la violenza tra i più giovani. Dopo la morte di George Floyd nel 2020, hanno donato un milione di dollari alla causa di “Black Lives Matter” e la stessa cifra è stata raddoppiata in pochi giorni dagli army, che si sono mobilitati sui social network. Questo soft power è pienamente riconosciuto ai bts dal governo di Seul, che prima ha promulgato una legge “Salva bts” per rimandare l’obbligo di leva per i componenti del gruppo e poi ha fornito loro sette passaporti diplomatici, inviandoli all’onu nel 2021 a parlare di cambiamento climatico. I bts hanno tenuto un discorso sui giovani e sull’ambiente, parlando della responsabilità collettiva e definendo i giovani la welcome generation, capace di accogliere il cambiamento anziché temerlo.  Quindi hanno cantato e ballato il brano Permission to dance, con una coreografia che uscendo dal Palazzo di vetro ha invaso i viali di Manhattan. Nel maggio del 2022 i BTS sono volati alla Casa Bianca, per parlare con Joe Biden di inclusione delle minoranze asiatiche negli Stati Uniti, messa in discussione dalle politiche di Trump. E, secondo gli studi sociologici, l’esistenza dei bts durante la pandemia ha abbassato di molto i bias discriminatori nei confronti delle persone asiatiche. 

Certo possiamo etichettarli come semplice fenomeno pop, liquidarli con un’alzata di spalle al primo ascolto, ma resta il fatto che conoscere questi fenomeni significa capire il presente, anche nelle sue declinazioni apparentemente più superficiali, che però racchiudono l’essenza del mondo di oggi. Per dirla con Bob Dylan: «essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro». E le canzoni dei bts, con i loro messaggi contro l’odio e le discriminazioni, sono un vento che soffia per spazzare via le nuvole più scure dall’orizzonte di domani.




NP ottobre 2024
Mauro Tabasso con Valentina Giaresti

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