Il buon vecchio giradischi

Pubblicato il 24-05-2021

di Mauro Tabasso

Oggi in rete, un argo­mento di gran moda è la crescita personale. I videocorsi e i "coach" sono più numerosi dei peperoni raccolti in agosto a Carma­gnola (cittadina in provincia di Torino, nota per la sua celebre "Sagra" del gustoso ortaggio). Del resto uno come potrebbe perdersi le "27 regole per non farsela addosso" oppure il corso "Farsi furbi in 12 mosse", oppure ancora la master class "Dimentica te stesso e diventa intelligente".

Io conosco un sacco di gente intelligente, tuttavia asintomatica. Non è difficile incontrare qualcuno di clinicamente silente, uno che (per definizione) è convinto di es­sere sano ed è quindi portato a sentirsi sempre più robusto (intelligente) di te. Non che io sia questo campione di scacchi, questo mostro della decrip­tazione, questo guru del calcolo delle derivate. Tuttavia con quel poco di sale in zucca che ho mi sforzo alacre­mente di esercitare il buon senso, quel criterio arcano, raro e perduto che ti aiuta a metterti nei panni degli altri per domandarti quale possa essere il loro punto di vista, la prospettiva dalla quale osservano, al fine di mettere in discussione te stesso e la tua visione delle cose, nella speranza di migliorare entrambi.

Per attuare questo pro­cesso è vitale imparare ad ascolta­re, e in fatto di ascolto la musica ha sempre qualcosa da dire. Mi vanto (immodestamente) di essere sempre stato un buon ascoltatore, ma con gli anni, la fretta (e la furia) di fare, correre e saltare ho perso un po' della mia antica predisposizione. La sto in parte ritrovando grazie ai colorati lock down di questo surreale periodo. Nel mese di marzo 2020, per esempio, andando a trovare mia mamma, mi sono ricordato del mio vecchio stereo che giaceva cellophanato come una mummia nella sua soffitta. L'ho tirato giù, ho tagliato le bende, spolverato le suppellettili (i dischi), gli ho dato un'oliata e l'ho rimesso a girare. Che magia!!! Mi ero dimenticato del calore del vinile, il "toc" della puntina, quella "pasta" di suono cicciona e analogica che il giradischi, tramite l'amplifica­tore, sputa fuori dalle casse. Mi sono ricordato del perché amavo così tanto ascoltare musica. Era bello perché era come andare in palestra, in piscina, o a correre.

Per ascoltare un vinile ti devi prepa­rare. Lo devi pulire, magari anche la­vare, devi passarlo con una spazzoletta in carbonio o con l'apposito liquido antistatico. Devi averne cura, evitare che si righi; poi devi tarare il braccio del giradischi, pulire la puntina… E dopo che hai perso quel quarto d'ora buono a fare tagliandi non lo puoi mica ascoltare sulle cuffiette bluethoot da 15 euro… Ci vogliono proprio le casse, che per quanto scadenti suo­nano sempre meglio del telefonino. Quindi ti siedi lì e ascolti, trovi quei 20 minuti di tempo per seguire la facciata di un disco che avevi dimenticato. E ne vale la pena, è tutt'un'altra musica.

Il pianoforte ha il pedale che fa quel rumore ovattato, la chitarra ha le corde che sfrigolano, i violini hanno l'arco che "gratta", e le voci sono lì, proprio lì a davanti a te… Sono (oltre che suoni) sensazioni a cui la favolosa musica in digitale ci ha disabituato. Ma è mu­sica, vera, viva, palpitante come una persona che in quel momento ti parla perché ha qualcosa di importante da dirti, oppure solo per farti divertire, ma con la quale hai un rapporto. È questa la vita per cui siamo fatti, non quella farcita di call online alle quali ci stiamo anche un po' abituando. È una vita che riscoprirò di certo, ma intanto comincio dalla musica, (solo) quella che non mi suona asintomatica.

NP Febbraio 2021

Mauro Tabasso

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