Umarell

Pubblicato il 02-12-2022

di Mauro Tabasso

Qualche settimana fa, alcuni miei cari amici mi hanno regalato un Umarell. Si tratta di un personaggio del folklore popolare di origine bolognese (pare), ma assai diffuso (con altri nomi) in tutta Italia.
È una statuina di resina colorata delle dimensioni di un soldatino che si trova in vendita su internet, e raffigura l’omino, l’Umarell appunto, che guarda i cantieri e gli operai che vi ci lavorano, con le loro fantastiche attrezzature (gru, escavatrici, asfaltatrici, motopompe, camion…).

Riproduce fedelmente un signore attempato con berretto in testa, sguardo chino verso terra, mani dietro la schiena, giubbottino di tela e generosa pancetta. Il ritratto dell’uomo che osserva e critica: «Uno che lavora, tre che guardano… Questi lavori non si fanno così…».
Il mio Umarell è giallo e ora troneggia sulla mia scrivania. Chi lo vende sostiene che guardarlo aumenti la produttività. Quando te lo regalano di solito vogliono dirti due cose. A) È ora che tu vada in pensione, hai bisogno di una lunga vacanza; B) Non diventare mai così sapientone e criticone (il vero Umarell sa come si fanno i lavori ad arte, di qualsiasi lavoro si tratti!!!); continua a sgobbare che è meglio!

In ognuno dei due casi decisamente un buon augurio e un gesto di sincera amicizia, almeno è così che li interpreto. Ultimamente sono demotivato sul lavoro, stanco, stufo da non voler più sentir parlare di musica.
E per contrappasso ricevo inviti ai concerti da habitué, organizzatori, aspiranti, allievi, musicofili… A volte più inviti per lo stesso giorno (parlo di biglietti anche assai costosi). Ma quest’anno ho battuto i miei record, così per rivalsa li ho disertati tutti, o quasi. Qualcuno mi ha dato del matto (per la cronaca ho lasciato vuoto un posto in settima fila alla finale dell’Eurovision). Mi sono permesso però di far notare un fatto. Chi mi ha criticato è un amante della musica.

Un amante, non un marito. L’amante fa l’amore con la sua bella (la musica) ogni volta che vuole. Si accordano, si vedono, fanno i fatti loro. Io no, perché la musica l’ho sposata. È una moglie e non un’amante (fatto sul quale preciso di non avere tutta questa esperienza). Per me la musica non è nemmeno una fidanzata che si trucca e si mette in tiro per uscire il sabato sera, ma una moglie con cui divido ogni istante della vita, che sia presente o assente. Una moglie ti deve piacere appena uscita dalla doccia, non dopo che si è fatta la piega, truccata, profumata e messa in minigonna. Ti deve piacere con tutti i suoi difetti fisici o meno, quelli evidenti e quelli che puoi vedere solo tu. Una moglie la devi scegliere ogni mattina quando apri gli occhi (sempre ammesso che tu sia riuscito a chiuderli) e realizzi che hai un altro giorno da passare con lei. Devi sopportarla (lei lo fa con te), devi volerlo fare perché amare è un atto di volontà, non è uscire con la ragazza che ti fa girare la testa. La musica e mia moglie a loro tempo mi hanno fatto girare la testa, ma sposarle è stato un atto di fiducia, è stato manifestare la mia volontà e la mia intenzione sincera di costruire qualcosa di più grande di me assieme a loro.

Quest’anno ho fatto 30 anni di matrimonio e l’anno prossimo ne farò 30 di carriera. Ecco perché non vado più ai concerti. Non hanno più molto da dirmi, dopo tutta la devozione e l’impegno che ho messo nella mia arte. E invidio un pochino chi ancora partecipa con gioia a questi rituali, per me ormai aridi. Preferisco passare la sera con la mia consorte, i miei figli (quando ci sono), la mia musica, quella che ho sposato e che continua a parlare al mio cuore e alla mia testa piuttosto che presenziare a eventi che hanno smesso di emozionarmi anni fa. Immagino che ciò sia anche un po’ fisiologico. E poi ai concerti divento un autentico Umarell… «Io avrei fatto così… Dovevano fare cosà…». Meglio restare a casa, con chi mi sopporta in silenzio, da 30 anni e da 29…


Mauro Tabasso
NP agosto / settembre 2022

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