Ho portato il cuore di Bergamo tra i bimbi disabili della Giordania

Pubblicato il 03-11-2019

di Redazione Sermig

Una scuola per bambini diversamente abili, cristiani e musulmani insieme, gestita da tre donne nel cuore del Medio Oriente. Accade ogni giorno a Madaba, in Giordania. La scuola si chiama “Arsenale dell’Incontro” ed è una delle missioni del Sermig – Arsenale della Pace di Torino, casa per i poveri e per i giovani fondata più di cinquant’anni fa da Ernesto Olivero. Ho visitato l’Arsenale dell’Incontro insieme a Maria, Alice, Chiara e Nicol. Siamo partite in rappresentanza del gruppo Sermig di Bergamo, da anni attivo nella bergamasca. Prima della partenza, ci siamo preparate, materialmente e culturalmente. Ciò nonostante, lo stupore è stato nostro costante compagno di viaggio.

 

L’Arsenale dell’Incontro accoglie più di 260 bambini e ragazzi diversamente abili: una scuola, sedute di fisioterapia, terapia occupazionale, logopedia. Si risponde a un bisogno preciso: in Giordania il tasso di disabilità fisica o mentale in è alto (una persona su dieci ne è colpita) ma le tecniche di assistenza e riabilitazione sono ancora poco diffuse. Il risultato è spesso un’emarginazione che accompagna la persona disabile per tutta la vita. L’Arsenale è gestito da Chiara, Irene e Chiara Maria, tre donne della Fraternità della Speranza del Sermig. Da anni vivono in Giordania: hanno imparato l’arabo e, soprattutto, hanno imparato a entrare in punta di piedi in una cultura e in un contesto molto diverso da quello italiano, con la voglia di condividere e non di prevaricare. Ogni mattina, l’Arsenale si riempie di bambini. Divisi in gruppi da otto studenti, i piccoli imparano le lettere dell’alfabeto, i colori, i numeri. Si impara a giocare rispettando le regole, si applaudono i progressi dei propri compagni, ci si abitua a lavare i denti e le mani dopo la merenda. Al pomeriggio arrivano a scuola i ragazzi più grandi, fino a 35 anni. Con loro si svolgono attività professionalizzanti: si impara a cucinare, a creare oggetti di bigiotteria, a comporre mosaici. La scuola permette a molti ragazzi di sperare in un futuro autonomo: «Qui vediamo i bambini e i ragazzi crescere e cambiare. Fioriscono: è uno stupore continuo, per noi e per le loro famiglie», ci racconta Chiara. Passiamo molto tempo con i bambini: frequentiamo le loro lezioni, facciamo merenda insieme e giochiamo. Non conosciamo la loro lingua ma riusciamo a comunicare: è sufficiente un sorriso, uno schiocco di dita, tanti sguardi.

 

Vediamo intorno a noi tanta bellezza: i volti gioiosi dei ragazzi che all’Arsenale si sentono a casa; i sorrisi sinceri delle maestre, in maggioranza musulmane, per ogni piccolo progresso dei propri studenti; la fatica che viene affrontata grazie alla collaborazione; la soddisfazione che brilla negli occhi dei bambini per una nuova parola imparata. Vediamo due religioni che hanno imparato a lavorare insieme, oltre ogni differenza: un incontro autentico è possibile grazie alla cura e all’amore verso i bambini, ultimi tra gli ultimi. «Cerchiamo di essere una presenza nel deserto – mi racconta Irene -, che non è un deserto solo materiale, ma anche di relazioni». Il deserto è ben visibile anche dal tetto dell’Arsenale: immensi campi di terra, pochissimi alberi. Alla sera ci addormentiamo con l’abbaiare dei cani e il ragliare degli asini, al mattino ci svegliamo con i canti dei galli. Sono suoni a cui non siamo abituate; allo stesso modo, non siamo abituate ad una luce diversa: lì il sole sembra battere più forte, la temperatura è più alta, tutto brilla sotto ai nostri occhi. Chiedo a Chiara Maria dove lei e le altre ragazze trovino la forza per portare avanti un progetto così impegnativo in una terra per molti versi inospitale. «Lo facciamo per i bambini. Crediamo sia giusto restituire loro dignità e possibilità per il futuro. Vogliamo restituire il bene che noi abbiamo avuto la fortuna di ricevere».

bergamopost.it

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