Giustizia preventiva è pace preventiva

Pubblicato il 09-09-2009

di Redazione Sermig


Il documento finale del 2° Appuntamento Mondiale, svoltosi ad Asti il 3 ottobre 2004.

GIUSTIZIA PREVENTIVA È PACE PREVENTIVA
Una certezza da costruire con il dialogo

Viviamo in un periodo tragico e crudele, caratterizzato dalle guerre preventive e dal fanatismo terrorista, dai morti per fame, per malattie, per disastri ambientali. E’ il nostro tempo. Oggi nessuno di noi è al sicuro nella sua vita quotidiana: in ufficio, in auto, in treno, in autobus, in metropolitana, in aereo, in chiesa, a teatro, al cinema, allo stadio o al supermercato. Non possiamo nasconderci per non vedere e non sentire.

Se non portiamo ora il nostro contributo di idee e di opere lo faranno altri, magari proprio quelli che sono responsabili delle tragedie attuali. Abbiamo superato più volte la soglia di quanto pensavamo fosse inaccettabile.

Si tratta di una violenza con radici lontane che affondano nella storia di tutti i tempi e rispondono ad una logica di potere: “se vuoi la pace prepara la guerra”. Se non voltiamo pagina, presto e bene, vivremo una guerra che non risparmierà nessuno, una guerra crudelissima, un rincorrersi inarrestabile di vendette e ritorsioni. La vendetta non riporta i morti in vita, non ricostruisce le case e le scuole distrutte, non cura il dolore delle famiglie.

foto SIR

La storia bussa alla porta della nostra intelligenza. Noi rifiutiamo la guerra preventiva e proclamiamo che solo la “pace preventiva” può portare alla pace. La pace preventiva deve essere accompagnata dalla giustizia preventiva, dal lavoro, dalle cure, dall'istruzione, dai diritti e dalla dignità, dalla solidarietà preventivi. Non possiamo e non dobbiamo accettare un mondo di affamati, di disoccupati, di miseri e di vittime.

Siamo cresciuti pensando che c’erano guerre giuste. Dobbiamo crescere d'ora in poi pensando che tutte le guerre, tutte le violenze sono ingiuste. Che solo la pace è giusta, solo la giustizia è giusta, solo il cibo, l'acqua, le cure, il lavoro, l'istruzione, l'economia, la politica, l'arte, l'ambiente a servizio di tutti e per tutti sono giusti.

Abbiamo bisogno subito di un'ONU credibile e autorevole che sia la chiave della pace. Un’organizzazione internazionale in cui tutti gli stati siano rappresentati, abbiano voce in capitolo, siano responsabili del bene comune; in cui un esercito e una forza internazionale di polizia, non di parte, possano vigilare e intervenire per pacificare e risolvere le tensioni; in cui gli organismi internazionali siano a servizio dei bisogni, dei diritti, della dignità delle persone e dei popoli. Abbiamo bisogno che le religioni tornino veramente a Dio che è amore, giustizia e misericordia.

Se questo accade, l'incontro e il dialogo saranno subito fraterni, le incomprensioni e l'odio saranno accantonati. Le religioni avranno allora l'autorità morale per dire no alle bombe e agli attentati suicidi, no ai muri, no alle guerre, no alle ingiustizie; per dire sì alla vita, una vita che vale per tutti, uomini e donne, senza discriminazioni, senza se e senza ma. Chi crede in Dio ha una grande responsabilità e mai come oggi deve dimostrarlo con le opere, cioè amando gli altri, aiutando i miseri. Sono le nostre azioni buone che testimoniano il nostro amore sincero per Dio.

E’ importante non dimenticare l’Africa dove le divisioni etniche e gli interessi egoistici convivono con la miseria e con immense tragedie come quelle del Darfur, in Sudan, nel nord dell’Uganda e nel Congo. L’Africa è il banco di prova della nostra credibilità, quell’Africa dove molti stati hanno preso e mai dato, che è stata spogliata per secoli delle migliori risorse umane con il traffico degli schiavi e depredata delle ricchezze naturali.

Ci sentiamo responsabili e vogliamo caricare la pace sulle nostre spalle. E' per questo che tentiamo la strada del dialogo con sincerità, disposti a cambiare qualche idea, qualche comportamento perché ci sta a cuore il futuro di tutti. Il dialogo è un segno dei tempi. Questo è il tempo in cui i buoni devono incontrarsi e costruire un futuro di pace. I buoni non credenti, i buoni cristiani, i buoni ebrei, i buoni musulmani, i buoni di qualsiasi appartenenza etnica, politica e religiosa scelgono insieme la bontà che disarma e che è l'unica chiave per incontrare e dialogare con l'uomo, per essere ricercatori di giustizia, di solidarietà, di pace, di perdono.

I buoni non sono stranieri in nessuna parte del mondo, non sono estranei a nulla e a nessuno. Aiutano a trovare soluzioni buone, regole buone, confini buoni, un'economia e una politica buone, un potere buono a servizio del bene. I buoni possono dire la verità nella carità, riconciliare e pacificare, curare le ferite e le divisioni.
Cerchiamo un dialogo costruttivo, serio e autentico tra religioni e civiltà, capace di superare le difficoltà presenti oggi sulla scena mondiale. Per questa ragione abbiamo creato l’Università del Dialogo.

Il dialogo è frutto dell’intelligenza e avviene in un clima di reciproco rispetto e reciproco riconoscimento. Il dialogo cammina nella misura in cui ogni popolo, ogni cultura, ogni società si apre al confronto, si mette in discussione, accoglie, rispetta e viene rispettata. Nessuno può considerarsi di serie A e relegare gli altri in posizioni di inferiorità. Oggi a molti l’Islam fa paura, per molti è un grave problema. Noi vogliamo trasformare la paura in una grande opportunità di incontro. Il mondo è un piccolo villaggio dove popoli e culture si intrecciano. Tutto questo può unire anziché dividere anche se la storia passata e contemporanea ci racconta di stragi crudeli da una parte e dall’altra. Oggi per ebrei, cristiani, musulmani, induisti, buddisti, laici, per i fedeli di qualsiasi religione è possibile vivere senza odiarsi. Desideriamo fare tesoro della storia e proporre immediatamente un dialogo fatto di ascolto reciproco. Il nuovo nome della pace è “reciproco riconoscimento di dignità, diritti, doveri” e si attua anche nel fare in modo che la libertà religiosa praticata a Roma, a Parigi, a New York, a Mosca, a San Paolo sia la stessa a Baghdad, a Teheran, al Cairo, a Riad, a Pechino, a Nairobi, a Calcutta . Questi nostri desideri non sono provocazioni, sono la via della pace.

Le parti in dialogo riconoscono e promuovono i diritti umani universali, in primo luogo la libertà religiosa e di pensiero. Il dialogo è credibile solo se è sostenuto dalla certezza dello stato di diritto che tutela la libertà di coscienza, grazie alla quale ognuno può liberamente professare la propria laicità o la propria fede, può cambiare religione o abbandonarla senza che la sua incolumità sia messa in pericolo o che la sua vita di relazione, la sua professione e la sua famiglia ne siano negativamente condizionate. Il dialogo è credibile se considera le donne e gli uomini, di qualsiasi etnia e religione, come persone che hanno una dignità inalienabile; se si impegna a promuovere e sostenere la sacralità della vita, con una attenzione particolare ai bambini e ai giovani che sono il nostro futuro di pace.


foto SIR

Quanti percorrono le strade del dialogo rifiutano le ingiustizie, il fanatismo, la violenza, la guerra, il terrorismo di qualsiasi matrice. Non tentano di imporre con la forza e con il terrore la propria visione del mondo. Il dialogo fra le religioni porta frutti duraturi di giustizia e di pace.
Di recente alcune aggregazioni di musulmani in Italia ed in Europa hanno preso posizioni chiare di condanna del terrorismo e sulla necessità di integrazione nei Paesi di matrice cristiana in cui vivono.

E' importante che la condanna del terrorismo si estenda a tutti e a ciascuno: che si condanni non solo il terrorismo globale di Al Qaida, ma anche quello locale in Cecenia, in Palestina o nel Kashmir.

Occorre distinguere con chiarezza il fine del riconoscimento delle aspirazioni dei popoli alla libertà e alla dignità, che molti possono condividere, dal mezzo dell'attacco contro civili innocenti – uomini, donne, bambini – che nessuna “giusta causa” potrà mai rendere accettabile.

Auspichiamo che i musulmani che vivono in occidente possano far sentire la loro voce anche nei loro Paesi di provenienza e negli altri Paesi islamici, per dare corso concreto ad un'apertura di dialogo che consenta di raggiungere una comprensione effettiva e una pace vera.

Ci sentiamo impegnati a promuovere il dialogo interreligioso e per la pace non solo in casa nostra, ma ancora di più in quei Paesi dove ci sono tensioni e conflitti etnici e religiosi, per far crescere la tolleranza, la giustizia, il perdono.

L'Università del Dialogo, nata all'Arsenale della Pace di Torino, è uno strumento itinerante per diffondere la cultura del dialogo in ogni parte del mondo.

Il dialogo cammina e porta frutti di pace nella misura in cui fa crescere la giustizia e il perdono. Non c'è dialogo per la pace, non c'è dialogo fra le religioni se non facciamo insieme subito qualcosa per dare a tutti dignità, libertà, cibo, acqua, salute, istruzione, lavoro, per aiutare le vittime delle ingiustizie in ogni parte del mondo.

Il dialogo fra le religioni ha una certezza: Dio è buono! Non usiamo il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la guerra, le ingiustizie e ogni forma di prevaricazione. Terrore e violenza non sono di Dio.

Ernesto Olivero e i suoi amici 

 

 

 

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