In cammino verso la Pasqua (6/7)

Pubblicato il 17-04-2011

di Giuseppe Pollano

La scelta: mercato o dono - di Giuseppe Pollano - Il tradimento di Giuda e l'istituzione dell'eucaristia: due scene estreme, in forte contrasto, che si susseguono nel racconto di Luca (Lc 22,1-6.14-20).

 

In tutta la storia umana non c'è stata e Louay Kayali, Gesù e Giuda Iscariotanon ci sarà mai una storia più triste di quella di Giuda e un contratto più orribile, perché Giuda consegna Gesù per denaro, ossia lo vende; di uomini venduti schiavi è piena la storia, ma qui si tratta di Gesù.
In tutta la storia umana non c'è stato e non ci sarà mai un dono così insuperabile e più sublime come quello che ci ha fatto Gesù perché, accettando di essere consegnato per morire, regala ai suoi amici questa morte per il loro bene: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; e questo è il mio sangue versato per voi".
Avvicinandosi il mistero della Pasqua, e dunque rinnovandosi in tutti noi l'impegno di una scelta definitiva, da queste due scene veniamo aiutati ad immaginare il tipo di vita che noi vogliamo decidere. Infatti presentano due modelli dell'esistenza del tutto diversi e incompatibili: uno è il mercato, l'altro è il dono. Gesù ha voluto entrare in entrambe le situazioni: ha accettato di passare nell'obbrobrio di essere venduto al prezzo corrente di uno schiavo, di diventare una merce che si vende, e poi lui stesso si è fatto il dono che dà vita al mondo intero.


ti do e tu mi dai

L'epoca in cui viviamo sta pericolosamente inclinando verso lo stile del mercato, la concezione mercantile della vita cresce. Il comprare e il vendere non è una cosa iniqua, anzi è una operazione normale e necessaria, che Gesù stesso avrà vissuto nella sua esistenza; il problema nasce qualora diventi il modo di concepire la vita. Se questo accadesse, il mondo sarebbe decisamente perduto. Non accadrà, c'è Gesù Cristo, c'è la Chiesa e quindi noi, ma occorre rafforzare l'impegno dell'imitazione fedele di Gesù.
Il concepire la vita come un "ti do e tu mi dai" comporta un modo di incontrarsi con l'altro e con gli altri che ha in sé un terribile difetto: lo scambio non guarda all'altro come persona, perché l'obiettivo dello scambio non è mai la persona (a meno che, purtroppo, non si venda una persona), ma un vantaggio. Se l'obiettivo dello scambio è la persona, essa deve essere ridotta ad un oggetto e non la si può amare. Questa è la sventura che c'è nel concepire la vita come un interesse incessante, piccolo o grande, il cui demiurgo nascosto è il nostro egoismo, l'amore di noi stessi: non posso amare altri che me, perché se ti amo dovrei avere per te un riguardo tale da considerarti per quello che sei, e invece tu mi interessi soltanto nella misura in cui da te posso trarre un vantaggio.

Il mercato non può amare, anzi il mercato non deve amare perché, se amasse, dovrebbe assumere un altro atteggiamento che lo comprometterebbe e lo disturberebbe. La mentalità mercantile dunque, adottata come significato della vita, lentamente è una deriva che porta alla cultura del cuore di pietra. Che me ne importa di te? Nulla, mi importa il mio vantaggio, dunque non posso, non devo amarti. Il disamore è regola del mercato, se ti impietosisci diventi un povero mercante.
Non sono ragionamenti astratti, li ritroviamo nella storia che stiamo vivendo. Se tutto è trasformabile in moneta, e possibilmente in moneta mia, se tutto è trasformabile in mio vantaggio, cadono tutte le altre categorie. Alcuni economisti statunitensi hanno elaborato una teoria economica, l'imperialismo economico, la cui tesi di fondo è che Loghi di monetenon c'è realtà che non sia riducibile a denaro. Nessuna! Né io, né tu, né gli altri. Inoltre, ciò che non è riducibile a denaro diventa semplicemente inutile e se poi se si mette tra me e il mio interesse, allora diventa dannoso.
Applicato alla vita concreta, questo tipo di ragionamento taglia via tutta quella fetta di umanità dalla quale non posso trarre alcun vantaggio: tu non rendi dunque non sei, anzi, sarebbe meglio che tu non ci fossi. Ecco il cuore di pietra che, rapidamente, diventa un cuore spietato per poter fare, con freddo calcolo, con sicuro cinismo, il proprio interesse. Quella fetta di umanità che non serve non dovrebbe esistere, ma ad ogni modo esiste, per adesso non ci azzardiamo a distruggerla, lasciamo semplicemente che muoia!
Dunque Gesù, che accetta di diventare una merce da 30 sicli, si fa davvero interprete della più grande delle tragedie umane, condividendo la sorte di un uomo, di una donna, di una civiltà, di una cultura che non sono amati e che entrano nel perverso circolo dell'interesse di un altro. Ogni volta che ciascuno di noi guarda l'altro con il cuore di pietra per trarne un vantaggio, lo considera un bene fruibile, non una persona.
Ed è proprio nella vita quotidiana che entra in noi la scelta: scegli per avere o scegli per dare? Non si tratta soltanto di un ragionamento economico, perché, molto spesso, il contratto non è mica fatto di moneta sonante. Esempio: chi non è capace a invitare un amico che poi ti invita? Ricordate Gesù nel vangelo? "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio" (Lc 14,12). Certo, in apparenza è così cordiale, così gratuito un invito, ma se tu non mi inviti tra noi è finita. È un contratto mascherato di cortesia.


il dono

Il nostro egoismo ci insidia sempre, non abbiamo mai finito di convertirci al dono. Infatti questo Gesù, e solo uno come lui poteva farlo, tramuta l'essere una merce venduta da Giuda per essere ucciso da quelli che lo odiano, nello splendido dono che noi celebriamo tutti i giorni. È stato venduto come l'agnello del sacrificio, ma non importa, così il suo dono è diventato ancora più grande. Indubitabilmente per capire queste vette di generosità bisogna guardare Dio. Gesù, invitandoci a considerare le tristissime conseguenze del disamore economico, in realtà ci chiede di guardare a lui, per imparare precisamente il contrario di questo atteggiamento, insistendo a dire che non c'è un terzo atteggiamento possibile. Ci sono delle persone che, per non lasciarsi coinvolgere dalla carità che dona, cercano di restare in mezzo, né da una parte né dall'altra. Si illudono. Non ci sono alternative, o con me o contro di me, ha detto il Signore (Lc 11,23; Mt 12,30). Che vuole dire? O come me o al rovescio di me. E allora torna la figura di Giuda che consegna Gesù né per odio (Gesù non è odiato da Giuda, il quale, poi anzi, come ben sappiamo, avrà un rimorso insostenibile), né per paura, né per rovinarlo. Platone Vasiliev, Giuda IscariotaLa sua motivazione, purtroppo, è la più squallida, 30 sicli d'argento (2.400 euro).
Gesù ci prende per mano e ci conduce sulla sua strada alla pienezza del dono, a evitare le conseguenze incalcolabili di un egoismo organizzato. Mentre il mondo ormai è avvolto da questa contrattualità che non finisce mai e si globalizza non solo in senso di operazioni finanziarie ma di mentalità dell'avere e dell'avidità, Gesù più che mai ci grida in modo accorato che dobbiamo davvero accettare la Pasqua come suprema gratuità da parte di Dio, come il vero dono, perché se i cristiani non accettano una forte conversione in questa direzione, fatalmente diventeranno vittime della mentalità del mondo.

Sappiamo per esperienza che il dono è quando tu dai e lasci che il tuo dono diventi felicità di un altro. Può essere una parola, uno sguardo, la vita, ma quello che conta è l'atteggiamento interiore, il dono benefico: io voglio il tuo bene e basta; quand'anche mi desse molto dolore, mi chiedesse corpo e sangue, non importa nulla, io non conto, conta in quel momento la tua gioia fratello, la tua gioia sorella, è questo che mi sta a cuore, non cerco la gioia per me.
Dobbiamo essere onesti ed ammettere che ci sono dei doni che sono solo apparenze di dono, pensiamo a chi sparge attorno, perché può farlo, tante cose e denaro, ma soltanto come artificio per diventare più importante e più ammirato; o a chi ti soffoca di regali, ma soltanto per averti. Il vero dono è molto più semplice: tu hai bisogno, io agisco e non cerco niente in cambio. Il segreto del dono è quella scintilla iniziale di amore per cui io ti amavo già prima di incontrarti, il mio cuore era aperto, come ha fatto Gesù con noi. Il dono diventa uno stile di vita, una scelta interiore per cui tu, al mattino, apri gli occhi non pensando, consciamente o no, a quello che avrai, ma sei già disposto ad essere per gli altri. Quindi è l'atteggiamento interiore, non il ragionamento, che ci fa essere persone che donano.
"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). Questo comando è per oggi, domani, dopodomani, sempre insomma, e non aspetta la grande occasione per essere vissuto. Albano Poli, particolare di una vetrataSiamo sotto il comando di amare nella vita quotidiana come lui ci ha amato. Se tutti quanti ce lo ricordassimo di più, se fosse la nostra autocoscienza, cioè che ci rendiamo conto che viviamo per questo, che meraviglia sarebbe il mondo, come si farebbe presto a conquistare le persone senza rapirle, perché sarebbe vero amore!
Il dono, dunque, è scelta di vita profonda, di carattere molto concreto, che tutti i giorni va rinnovata. Dobbiamo riconoscere che sotto questo punto di vista, la Chiesa, il popolo di Dio, non dà ancora una evidente trasparenza di esserne convinta.


la santità

Non siamo santi, ma siamo anche sotto il comando di santità. Il Concilio (LG 40,41) ce lo ha detto in modo chiaro: ciascuno al suo posto deve santificarsi; in altri termini, deve somigliare al Signore. Non è l'utopia di un paranoico, ce l'ha comandato Gesù, il quale lo rende possibile perché, alla nostra pronta obiezione su come sia possibile, ci ricorda: ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio (Lc 18,27). Ecco perché noi possiamo fare le cose sublimi che lui ci comanda, e le dobbiamo fare perché il mondo ce lo chiede non in modo esplicito, ma attraverso il disamore, la freddezza totale, i troppi cuori di pietra di uomini e di donne che lo abitano.
"Nella notte in cui fu tradito". Come sono significative queste parole! La notte è sempre profondamente simbolica, nessuna luce, non si vede dove si va. Siamo nella notte del cuore umano che fu capace di consegnare il suo Dio. Siamo alla fine, non c'è nessun trionfo, ormai Gesù aspetta soltanto vergogna e morte. Ma quella sera, fra un tradimento che lo sta avvolgendo e una passione che lo aspetta, trova il modo di dire: ecco sono vostro, mangiatemi e bevetemi, sono vostro. Noi, accettiamo questo Gesù? Tu, Gesù, hai fatto questo per me. Non oso neppure pensare come mi comporterei se fossi io a essere tradito da un amico e condotto al supplizio, perché io sono un pover'uomo e tu sei il mio Dio; però so che è costato tantissimo anche a Te. Ecco il confronto che diventa preghiera. Signore, tu mi hai detto che c'è più gioia nel dare che nel ricevere; Signore, voglio scegliere di vivere con un cuore aperto, di carne, non con un cuore duro e mercantile, non voglio prendere, non voglio dare per avere.
Per non passare da incendiari a pompieri, dobbiamo fissare il Signore: appena iniziata la vita pubblica ha cominciato subito guarigioni, miracoli, pane moltiplicato, ma era appena all'inizio; per conservarsi all'altezza del suo amore non si è fermato e ha dato sempre di più, fino alla fine. Finché sulla croce ha potuto finire la vita dicendo: è completato il mio dono.
L'unico modo per continuare a donare è dare sempre di più. Questo dobbiamo augurarci per vivere la Pasqua in modo serio, non come abitudine e celebrazione che passa come tutte le altre.
Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all'Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

 

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