Vicinanza e distanza

Pubblicato il 18-10-2020

di Gabriella Delpero

Delle tre principali norme che ci vengono ripetute allo sfinimento ogni giorno (lavarsi frequentemente le mani, indossare la mascherina, mantenere la distanza di sicurezza), quale rappresenta una vera sfida di senso per noi uomini dell’era del Covid? Certamente la terza, quella che ci raccomanda il cosiddetto “distanziamento sociale” come prevenzione del contagio. Infatti essa mette in crisi l’uso, il significato e l’importanza dello spazio, con tutto ciò che esso rappresenta nella nostra vita di tutti i giorni e soprattutto nella nostra possibilità di comunicare con gli altri.

Nei secoli abbiamo messo a punto una serie di regole e abitudini di vicinanza- distanza che ci aiutano a trasmettere a livello sociale le intenzioni e i ruoli reciproci, come fanno gli animali quando occupano un preciso posto nel branco. Una distanza che superi qualche metro è di solito l’area che contraddistingue la relazione tra sconosciuti, mentre per arrivare a toccarsi occorre ridurre la distanza alla lunghezza delle braccia, fino ad arrivare all’area intima, quando lo sguardo inquadra l’interlocutore soltanto più in primo piano perché la distanza tra i soggetti si è fatta minima. Nel tempo abbiamo imparato ad arricchire di mille sfumature ogni discorso attraverso i gesti, lo sguardo, la postura del corpo, il tono della voce e i vari modi di posizionarci nell’ambiente: lo spazio tra una persona e l’altra non è cioè mai “vuoto” durante una comunicazione, anzi può essere denso di messaggi più delle parole. Anche nel linguaggio ci riferiamo spesso alla “distanza” tra gli esseri umani come ad un indice della maggiore o minore freddezza, ostilità o disinteresse che possono caratterizzare una relazione: «ti sento distante» o «stammi più vicino» siamo soliti dire a chi ci sta a cuore. Vicinanza e distanza acquistano in questi casi un forte valore simbolico e si caricano di emotività.

Chiaramente noi oggi, col virus e la necessità di evitare i contagi, siamo costretti a pensare alla vicinanza fisica tra esseri umani essenzialmente come ad un pericolo. Ma tutti sappiamo anche, ad esempio, quanto il contatto corporeo, il calore e l’abbraccio siano indispensabili per la sopravvivenza, la sicurezza e lo sviluppo del neonato, così come per i cuccioli dei mammiferi sono fondamentali per imparare l’appartenenza alla tribù e la difesa dai predatori. Ci troviamo di fatto in una situazione di disorientamento e a volte di lacerazione interiore, intrappolati tra opposti apparentemente non conciliabili: vicinanza o nuove distanze?

Un paio di settimane fa mi sono trovata sull’ampio sagrato di una chiesa dove erano state collocate alcune panche per chi – non trovando più posto all’interno dell’edificio – avesse voluto partecipare almeno da lì alla celebrazione comunitaria dell’eucarestia domenicale. Stavo per avvicinarmi ad una panca ancora semivuota, quando una persona mi ha intimato senza mezzi termini di non proseguire oltre perché a suo parere non ci sarebbe stato un sufficiente distanziamento tra i fedeli: sui sedili non erano infatti stati posti i consueti cartelli ad indicare dove sedersi e dove non farlo. Alla mia obiezione sul fatto che ci fosse senza dubbio uno spazio – tra l’altro ovviamente all’aperto! – di ben più di un metro tra le varie persone presenti, ha controbattuto dicendo che «le regole sono regole» e che il protrarsi della pandemia è causato dagli irresponsabili (come me.).

Che dire? Se le misure del distanziamento sociale saranno necessarie ancora per lungo tempo non dovremo lasciarci condizionare dalla paura al punto tale da vedere gli altri solo come nemici e minacce. E magari imparare a lanciare segnali di accettazione e calore anche senza il sorriso (nascosto dalla mascherina).


Gabriella Delpero
NP agosto / settembre 2020

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