Una vita con i trapeiros

Pubblicato il 13-01-2023

di Annamaria Gobbato

Pochi mesi fa, alla sua morte, il Centro Hélder Câmara diffuse una dichiarazione: «Impossibile dire addio a Tenderini. Una forza come la sua non si esaurisce con l’arrivo della morte. Ha affrontato, da vicino, gli orrori della dittatura. Ha abbracciato la giustizia sociale. Ha dedicato la sua vita alle persone e alla protezione dei diritti. Un’eredità che non sarà mai dimenticata».

Il protagonista di questa storia si chiama Luis Tenderini. Nativo di Premana (Valsassina) nel 1968 era partito per Teresina, nord est del Brasile, per studiare teologia presso i gesuiti. Viene a sapere che nello Stato di San Paolo opera un missionario del PIME proveniente dal suo stesso paese. Lo raggiunge e si impiega come operaio: «La “vela” della mia vita – racconterà più tardi – si è via via distesa sempre più: ho potuto definire con più chiarezza e determinazione l’obiettivo di una vita inserita nel contesto di una Chiesa popolare, nello spirito del Vaticano II». Questa stessa vita – nel frattempo ha sposato una brasiliana - lo porta in seguito a Recife, ancora nel nord est, dove diventa stretto collaboratore del suo grande vescovo, dom Helder Camara. Condividono la passione per la giustizia e la difesa dei poveri, Luis ne pagherà duramente le conseguenze, quando nel 1989 viene rapito e torturato dagli squadroni della morte. Per gli ultimi crea la sezione brasiliana del Movimento Emmaus, fondato negli anni ’50 in Francia dall'abbé Pierre. Fino alla morte si dedica anima e corpo ai poveri trapeiros, gli straccivendoli del Paese. In essi Luis aveva intravisto la possibilità di realizzare la missione indicata da dom Helder: «Lottare con tutte le forze perché sia rispettata in tutto il mondo la dignità della persona umana; distruggere le strutture sociali che generano oppressione, esclusione e miseria; testimoniare il Vangelo della fraternità universale perché siamo tutti figli dello stesso Padre».


Annamaria Gobbato
NP ottobre 2022

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