Ricordando mio padre

Pubblicato il 30-04-2021

di Renzo Agasso

Un'ora dopo l'inizio dell'anno 2021, è morto mio padre. Si chiamava Domenico Agasso, il prossimo 13 febbraio avrebbe compiuto 100 anni («Sono nato sotto un governo Giolitti, nel 1921», amava ripetere). È stato giornalista e scrittore, direttore di giornali (Epoca, settimanale della Mondadori; Espansione, mensile italo-americano di economia; Il nostro tempo, settimanale cattolico, poi confluito con La voce del popolo in La voce e il tempo), autore di una Storia d'Italia Mondadori in 8 volumi, biografo di santi (Giovanni XXIII, Paolo VI, don Bosco, Cottolengo, Allamano). Primo giornalista laico a Famiglia Cristiana, nel 1968, poi caporedattore; collaboratore di Jesus, Il giornalino, Vita pastorale.

Il cardinale Ersilio Tonini mi raccontò di avergli offerto, da presidente dell'editrice dei vescovi, la direzione di Avvenire, il quotidiano cattolico: rifiutò, per motivi personali.
I motivi personali eravamo mia madre ed io: dirigere quella testata voleva dire trasferirsi a Milano.
Se tanti, in queste settimane, hanno voluto affettuosamente ricordare il giornalista e scrittore – tra i suoi "allievi", Marco Travaglio, Mario Giordano, Cristina Siccardi – a me tocca fare memoria del padre. Segnalando che ha svolto tutti gli incarichi viaggiando sempre, da pendolare, per non sradicare se stesso e la sua famiglia da un piccolo borgo della città di Carmagnola, chiamato San Bernardo.
In un tempo senza telefonini e alta velocità, il viaggio in treno a Milano una lunga avventura stressante (non ebbe mai la patente), assecondò la nostra volontà di vivere dove eravamo nati, ed avevamo amicizie, vita pubblica, interessi, amori, sacrificandosi a stare da solo nella grande metropoli, per tornare a casa sfiancato il sabato pomeriggio, con ripartenza antelucana il lunedì mattina.

Va bene viaggiare col papa (fu tra i primi "vaticanisti", seguì tutte le uscite nel mondo di Paolo VI), dirigere giornali, incontrare personalità. Ma la nostra vita – e la sua – stava a San Bernardo di Carmagnola. E lui ha rinunciato pure a dirigere Avvenire, pur di rimanere tra i suoi amici del Circolo Filodrammatico, tre stanzette fumose vicino casa che sono state la sua unica frequentazione mondana per tutta la vita.
Andando a vivere a Milano o a Roma, e portandoci con sé, ne avrebbe guadagnato la carriera. Restò nel suo borgo, senza mai pentirsene. Fino all'ultimo giorno, con nipoti e pronipoti.
Gliene sono grato. Sopra ogni altra cosa.

Renzo Agasso
NP febbraio 2021

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