Più che mai vivi

Pubblicato il 05-02-2022

di Gian Mario Ricciardi



L'Italia ha riaperto con il fiato alla gola e, per tanto tempo ancora, faticherà a respirare.
I dati dimostrano, sia nel numero dei contagi che nel resto, il lento sfiorire di una tragedia che conta 135mila vittime (cinque milioni nel mondo) e ci ha toccati tutti.
“Tutto sarà come prima” si era ingenuamente scritto.

Non è così. Infatti, camminiamo più incerti di prima e pieni di paure, soprattutto per la salute ma anche economiche. Sappiamo che la pioggia di miliardi finirà e noi, i nostri figli e nipoti dovremo, in buona parte, restituirli.
Siamo nel mezzo di un sogno che, purtroppo, svanirà.

Siamo passati dal portare da casa la carta igienica ai ragazzi a scuola ai 4 miliardi appena stanziati per la digitalizzazione. Sono grandi conquiste, ma costose. Alla fine della storia resteremo soltanto noi, con tutte le nostre debolezze di sempre e quelle nate in questi due anni da incubo. Torniamo al bar, in pizzeria, al ristorante ma, diciamolo, con più timori di una volta: c’è la mascherina, c’è tutto il necessario ma l’idea che il contagio arrivi non la cancella nessuno.

Ci diamo, qualche volta, la mano ma subito la ritraiamo, quasi vergognandoci di aver infranto un tabù che ci insegue da troppi mesi; i giardini pubblici sono vuoti, o quasi, perché continuiamo ad aver paura, come è naturale che sia.
Certo, stiamo guarendo, sia pure molto lentamente, ed è un bene che cominciamo a pensare ai Paesi poveri (l’Italia invierà entro fine anno 45 milioni di dosi di vaccino) perché o ci salviamo insieme o non si salverà nessuno, tanto più oggi con i confini superati da aerei, navi, auto. Stiamo guarendo, forse, ma resteremo devastati dentro: quali saranno le conseguenze dei lockdown sulla società, su di noi, sui nostri figli, sui bambini, sugli anziani?

Non lo sa nessuno. Si stanno muovendo quasi tutti a tentoni e tentativi. Credo però che le ferite, gradualmente, si rimargineranno (fidiamoci della scienza!) e noi tutti dovremo sforzarci di liberarci dalla cultura del sospetto del vicino, dell’amico, della persona incontrata sul bus o in tram, al concerto, in discoteca. È una sensazione che ha dominato le grandi e storiche dittature comunista, nazista, fascista. Ricordiamo il film Le vite degli altri, ambientato nell’ex Germania comunista, o le spie dei fascisti in Italia. Ebbene, uno dei mali subdoli che il maledetto virus ci sta lasciando dentro è proprio quello. Sospettiamo di tutto e di tutti: dell’ascensore, del tizio che ci sfiora nella passeggiata, di chi è in coda con noi o che, prima di noi, ha toccato i prodotti al supermercato.

Dopo i troppi morti e malati, questa sensazione rischia di essere, per troppo tempo, il male oscuro delle nostre giornate e di minare buona parte delle relazioni sociali.
Possiamo reagire solo col sorriso, un guizzo di umanità, la disponibilità come i nostri hanno fatto nel Novecento con le società di mutuo soccorso, i gruppi, le associazioni, i circoli. Così varrà la pena di rinascere. Ma, intanto, gustiamoci il tepore di un’ottobrata che sembra quella romana, i raggi del sole ancora caldi nei pomeriggi lunghi e sereni, sentiamo il profumo dei boschi, gli aromi dei funghi e delle castagne. Il resto verrà con qualche tempo di riabilitazione del cuore.


Gian Mario Ricciardi
NP novembre 2021

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