Nonostante la paura

Pubblicato il 20-11-2020

di Alberto Brigato

UN, DUE, TRE… … STELLA!
Febbraio 2020 in Italia… TUTTI FERMI.
Guai a chi si muove, non un piede fuori dalla porta, non uno sbadiglio fuori posto, neanche una stretta di mano, per carità… Dobbiamo aspettare che il Coronavirus si giri di nuovo! Peccato che noi, fermi, non sappiamo proprio stare, la mente corre e le mani subito dietro.
Dobbiamo sempre essere al massimo, avere l’ultima maglietta firmata, l’ultimo smartphone… senza parlare del nostro corpo, dell’affettività o delle persone che frequentiamo. Se non appari, non sei nessuno, non conti nulla e così anche questa triste condizione si ripercuote sulle cose che possediamo e sulle cose che perdono di valore un minuto dopo che le hai comprate.
Questo lockdown ci ha obbligati a rivedere un pochettino la nostra vita partendo dalla casa, delle cose e dalle persone che ci circondano, fino ad arrivare dentro noi stessi.

Ne è scaturito un lavorio da formichine: svuota gli armadi, pulisci la vecchia soffitta con i suoi vecchi ricordi, amplia la mansarda e soprattutto libera, libera gli spazi, libera la mente, libera le parole (come fosse necessario) e il cuore, altro spazio che forse abbiamo occupato con tutte quelle mille cose che, a pensarci bene, non sono veramente necessarie. L’ordine generalizzato del «Fermi tutti!» ha reso tutti uguali, spianato le diversità. Qualcuno ha anche rivisto in faccia i propri vicini di casa, dimenticati dall’ultimo abbraccio dei Mondiali: l’incertezza e soprattutto la paura ci ha reso tutti uguali, tutti un po’ in ricerca di qualcosa. Abbiamo visto due ricerche completamente diverse ma che alla fine si assomigliano molto, una dettata dalla necessità impellente di mangiare e una dalla necessità, più o meno velata, di trovare.

Per un fortunato gioco di parole Ernesto ha racchiuso questa situazione in un’unica frase: «La gente ha fame di pane e ha fame di Dio». Anche la fame, come la paura, ci rende tutti uguali e, tolte le ansiose corse ai supermercati, noi ci siamo messi a disposizione del nostro quartiere, di tutti quelli che al supermercato non sarebbero neanche arrivati.
E poi c’è l’altra fame, che è meno palese, si potrebbe anche ignorare, non brontola la pancia ma il cuore. È una fame che fa inaridire da dentro, che mette in moto la mente insoddisfatta, che non si accontenta di un aperitivo in piedi, di relazioni mordi e fuggi, di shottini di felicità: è la fame della vita.
Abbiamo bisogno di relazioni, siamo abituati ad essere circondati da messaggi, tweet ed email che ci comunicano come stanno gli altri, dove sono e cosa fanno, ma con chi parliamo veramente, con chi allacciamo sentimenti e relazioni che fanno crescere, che danno valore al nostro tempo, al nostro fare? Alla fine stando immobili, nel silenzio obbligato della pandemia, qualcuno dentro parla e se all’esterno non possiamo muovere un muscolo, per non perdere il gioco, allora si muove il cuore.

UN, DUE, TRE… … STELLA!
Come è difficile rimanere immobili, fermi, fermi come i bambini che giocano.
Noi che siamo sempre chiamati a correre, solo a sfiorare la persona che abbiamo davanti, la situazione che stiamo vivendo, senza mai toccare nessuno, senza mai entrare veramente in relazione con l’altro. Mi viene in mente un bellissimo spezzone del film Fantasia della Walt Disney dove la musica ci spinge a ballare e a ballare fino a non accorgerci che la persona con la quale stiamo ballando non è più vicina a noi.
Coccodrilli e ippopotami, tutti uguali, tutti a tempo, finché ci riusciamo, finché duriamo… E ci perdiamo, cercando lontano quello che abbiamo vicino, rincorrendo sogni, avventure, possibilità più o meno reali, che alla fine ci servono per crederci ancora, per tirare avanti ancora un po’.

UN, DUE, TRE…
Ok, forse ora il virus si è girato e non ci vede! Siamo ai primi di ottobre e qualcosa si muove, qualcuno più coraggio so fa un passo avanti, ma è un inizio!
Si aprono i negozi, i ristoranti, si torna al lavoro, più o meno smart. Siamo tornati alla vita, non possiamo dire normale, ma comunque è vita! Fatta di impegni, di relazioni, di quei contatti umani che tanto ci sono mancati e che rendono la vita un po’ più piena, nel senso vero del tempo e della qualità.
Ma non nascondiamo che un po’ di paura è rimasta: abbiamo tolto tante cose superflue, tante superficialità che sicuramente ci appesantivano, ma che anche ci coprivano un po’. Nascondevano le nostre piccole imperfezioni che tanto ci davano fastidio, ma che ci rendono anche unici.
È un po’ come se ti arrivasse un amico a casa che non aspettavi, al mattino presto: sei ancora a letto, con i capelli arruffati e la faccia a forma di cuscino e lui suona alla porta, cerchi di sistemarti alla bell’e meglio, ma rimani così, “nature!”.
La paura è quella di dover ricominciare in un modo diverso, un modo che dobbiamo anche un po’ inventarci, al quale dobbiamo per forza adeguare le nostre abitudini, i nostri standard di normalità, reinventandoci dal profondo.

In questo momento è normale che ci sia un movimento interiore verso noi stessi e verso gli altri, tante persone ci hanno contattato per iniziare a fare i volontari in Arsenale. È un movimento che ci porta ad uscire da noi stessi, a dare un po’ del nostro tempo, delle nostre capacità per gli altri e anche per noi stessi: fare «un po’ di bene» fa sempre bene anche a noi stessi.
A volte i bisogni sono chiari da subito: «non voglio stare più solo», «almeno faccio due chiacchiere», «così mi sento utile», altre volte li scopriamo insieme, con un po’ di tempo e ci si ritrova simili!
Così lentamente ci muoviamo, distanti per non toccarci, vicini per costruire relazioni, piano piano, per non essere scoperti, perché alla fine sto gioco lo vorremmo anche vincere! … STELLA!

Alberto Brigato
NP ottobre 2020

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