Neet

Pubblicato il 17-06-2021

di Fabrizio Floris

In Italia ci sono due milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Li chiamano "neet" (Not in Education, Employment or Training). Hanno un'età compresa tra i 15 e i 29 anni, non sono un tutto omogeneo, ma in Italia prevalgono quelli che gli studiosi chiamano "gli scoraggiati", quelli che hanno rinunciato a cercare un lavoro.
Hanno facce giovani, ma il vissuto è fatto di stanchezza, apatia, "passato". Non sono sconvolti, non sono violenti, non sono aggressivi, sono stanchi, dicono di sentirsi vecchi. Sono ragazzi che hanno interrotto il loro percorso e sembra non riescano più a riprendere il bandolo, non solo del lavoro (o dello studio), ma della vita. Non hanno la spinta giovanile, sono molto ragionevoli, ponderati, misurati, i loro vissuti sono fatti da debolezze personali, famigliari e contestuali che li hanno portati ad una fase di afasia.

Come nelle dinamiche dell'economia la spinta al cambiamento può essere esogena o endogena, a loro è mancata la forza delle relazioni primarie e fuori hanno trovato difficoltà: nella scuola, nel contesto in cui sono stati inseriti. Il loro è un problema presente e in divenire, secondo uno studio della Fondazione Bruno Visentini nel 2030 vi sarà un netto peggioramento delle condizioni economiche dei nuovi nuclei familiari under 35. La ricchezza delle famiglie sarà 20 volte minore di quella delle famiglie totali. Meno soldi ai giovani oggi, meno pensioni domani ai vecchi. I ricercatori dell'associazione Increase hanno raccolto le loro storie e spiegano che i "neet" rappresentano solo un quinto o un quarto di un problema più diffuso che è l'esclusione dei giovani dal lavoro.

Milioni di giovani che si trovano dentro una nebulosa di lavori precari, mal pagati, frammentati privi di ogni possibile evoluzione e di apprendimento. Non hanno rappresentanze politiche, né sindacali, in loro non c'è ribellione né rivendicazione, non c'è lotta né contestazione, si sentono vittime e incompresi. Non sono "borderline", non segnalano traumi di vita significativi: un genitore disoccupato o in cassa-integrazione, un insegnante discutibile, un contesto territoriale debole, ma la loro caratteristica è essere transitati in tutti questi fatti lievi e come per gli ftalati nel cibo, zero più zero più zero fa sette: sette fatti lievi fanno un "neet". C'è in loro una stratificazione di fragilità che logora ogni potenziale di lotta: l'esistenza va avanti con alti e bassi e soprassalti con una sola continuità: lo stare a casa.

La fatica di ricevere dei no, di fallire diventa, col tempo, rinuncia per evitare un altro rifiuto, un altro inganno.
Eppure resistono non entrano nel circuito dell'esclusione, vanno ad un loro ritmo, che non è quello dei loro coetanei, ma in qualche modo procedono, restano agganciati, non possono permettersi equilibri e passi eleganti: stare in piedi è tutto. Per quanto possibile, non lasciamoli soli.


Fabrizio Floris
NP marzo 2021

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