Moda sostenibile?

Pubblicato il 30-10-2021

di Elisa D’Adamo

Ritorno alla normalità e ripresa dei consumi è un binomio che, nel settore della moda, passa anche attraverso una narrazione pubblicitaria che punta su scelte ecologiche e sostenibili. Visioni green dall'attitudine internazionale e slogan che colpiscono il consumatore, ma quanto c'è di concreto dietro ai messaggi che i marchi del lusso e del fast fashion stanno diffondendo? Il Word Economic Forum ha da poco pubblicato un report dai dati allarmanti: l'industria della moda si classifica terza per produzione di fattori inquinanti e seconda per emissioni di CO2.

Nel novembre 2019, 62 aziende e oltre 200 brand hanno redatto il Fashion Pact, un accordo sulla sostenibilità che impegna i partecipanti all'utilizzo di almeno un quarto delle materie prime ottenute da fonti sostenibili entro il 2025 e un impatto zero di CO2 entro il 2050.
Ad oltre un anno di distanza, i risultati sono sconfortanti e ben lontani dalle soglie minime fissate sulla carta. Secondo un'indagine della Commissione Europea ogni cittadino produce 11 kg di rifiuti tessili all'anno e di questi l'87% finisce in discarica o viene incenerito. Un cambio di rotta potrebbe arrivare dall'Unione Europea che produrrà, entro l'anno, una normativa con un forte impatto sul sistema moda.

Parliamo della EPR, la Responsabilità Estesa del Produttore, che attribuisce a chi immette un prodotto sul mercato i costi relativi alla gestione delle fasi finali del ciclo di vita del rifiuto tessile: raccolta differenziata, cernita e smaltimento. Nonostante le buone intenzioni, ancora una volta servirà una legge e relative sanzioni per iniziare su larga scala a produrre e commercializzare in un'ottica di economia circolare e sostenibile.


Elisa D'Adamo
NP giugno / luglio 2021

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