Messi da parte

Pubblicato il 07-05-2021

di Fatima El Maliani

Chiaro che noi, come chiunque altro, non ci aspettavamo tutto questo.
Mai avrei potuto immaginare che, da un momento all'altro, avrei dovuto chiudermi in casa, smettere di frequentare l'università, smettere di uscire con i miei amici. La quotidianità, la cosa che davo più per scontata, si era ribaltata.
Tutto quello che mi sembrava ovvio è diventato all'improvviso incerto. Ho avuto paura.

Un'email pochi giorni prima della data in cui era previsto il rientro a seguito della sessione esami invernale.
Il rettore ci informava che per le settimane a seguire, a causa della progressiva diffusione del virus, le lezioni si sarebbero tenute online.
Probabilmente ho sottovalutato gli effetti che questo avrebbe potuto avere su di me. La didattica a distanza ha reso lo studio e l'apprendimento molto più complicati.
Al di là delle problematiche di carattere tecnico, che hanno indubbiamente influito sull'efficacia, la mancanza di un supporto diretto, immediato, la mancata possibilità di un confronto in tempo reale con i propri compagni e con il professore, l'apparente incongruenza tra quelle che erano le spiegazioni e il materiale che ci veniva fornito, hanno contribuito tutti alla graduale perdita della percezione della realtà.

Sembrava che tutto si fosse ridotto (malamente) a quelle ore di socialità che lo schermo una volta al giorno ti offriva. La vita, la scuola, le relazioni, le amicizie si erano tutte ridotte a questo.
L'unica finestra sul mondo erano diventate le videochiamate.
«Le videochiamate? Fredde. La sensazione nell'essere vicino a chi sta dall'altra parte dello schermo, nel percepirlo è quasi diventata nulla. Si diventa apatici di fronte a situazioni che prima scatenavano tutt'altro in noi. Ci manca il calore umano. Sei lì ma in realtà non ci sei, nessuno ti guarda in faccia, nessuno nota la perplessità di fronte ad un argomento che magari non hai capito.
Sei lì, ma in realtà non ci sei», mi ha spiegato mia cugina che sta facendo terza media.
Ecco che questa finestra però diventava puntualmente sempre più piccola, e soddisfaceva sempre meno il tuo bisogno.
Le persone che in casa ti circondavano, e che fondamentalmente erano sempre le stesse, diventavano più opprimenti e tu, con loro, sempre più irascibile. In casa la tensione aumentava, l'impazienza, la stanchezza, la frustrazione si facevano sentire. È paradossale pensare che in un momento di chiusura, come quello che abbiamo vissuto, la compagnia che tanto si desira, possa diventare un grande problema.

E così il mio pensiero va a tutti quei ragazzi e bimbi che, come me, sono andati a "scuola" stando nella stessa stanza con le loro sorelle o i loro fratelli.
O magari in cucina mentre la mamma preparava da mangiare. Oppure a quelli che, come mia sorella, cominciano a notte fonda ad ascoltare le lezioni registrate dai professori.
A tutti quei bimbi che, come Soad, nella stessa casa a turno hanno dovuto passarsi il computer per poter seguire le lezioni, e che a volte si sono trovati costretti ad assentarsi perché in quel momento, un fratello o una sorella doveva usarlo. Un giorno, dopo averle chiesto il motivo per cui non avesse capito le frazioni nonostante la maestra le avesse spiegate, lei mi ha detto: «Quel giorno toccava a Yasmine, poi domani pomeriggio tocca ad Amin, facciamo a turno».

A tutti quei genitori che non sanno usare un tablet o un pc e che non sono riusciti a fare collegare i loro figli alle lezioni con le maestre. A Malak che oggi fa seconda elementare e non ha ancora imparato a leggere e distingue a malapena le lettere tra loro. La mamma disperata mi ha detto: «Mi sento in colpa perché io non sono stata in grado di aiutarla. Io non so usare un tablet, non sapevo come fare. Nessuno mi ha aiutata. Ha perso un anno di scuola per colpa mia».

Mi è capitato spesso di sentire qualcuno dire: «Ma che devono fare di impossibile?
Adesso anche stare davanti ad un computer è difficile?». Non è da dare per scontato che uno studente possa stare dietro a ore di lezione di fronte ad uno schermo.
Non è scontato perché è sbagliato standardizzare le condizioni di tutti pensando che chiunque abbia una stanza silenziosa dove poter seguire il professore, che chiunque abbia un computer e una connessione internet stabile.

È stato sbagliato credere, soprattutto pensando al quartiere in cui vivo, che tutti i bambini, a distanza, sarebbero andati di pari passo. Molti bambini non possono contare sui loro genitori perché non parlano in italiano, molti non hanno avuto gli strumenti tecnologici che questo tipo di didattica richiede, molti altri, se invece li hanno avuti, li hanno dovuti condividere.
Molti non hanno avuto diritto neanche ad un minuto di videochiamata, perché le maestre inviavano solo schede da completare, senza spiegare niente e senza prendersi il disturbo di correggerle.
È stato sbagliato nell'organizzazione, nella gestione e a prescindere nel pensiero. È stato sbagliato credere che la scuola fosse solo l'insegnamento delle materie e tralasciare il fatto che a scuola si cresce per le relazioni che si creano, le persone che si incontrano, le cose che si fanno.

In questo momento, più che mai, l'investimento sull'istruzione deve essere grande, deve puntare alla formazione ed all'educazione dei bimbi e ragazzi. Ci siamo sentiti lasciati da parte e le diverse manifestazioni di frustrazione da parte di tanti studenti in tutto il Paese come i ragazzi che seguivano le lezioni in strada fuori dalla scuola, ne sono la prova. Non abbiamo più paura, solo tanta rabbia.

Fatima El Maliani
NPFOCUS febbraio 2021

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