Made in carcere

Pubblicato il 20-11-2022

di Chiara Genisio

Da nord a Sud del Paese nascono nelle carceri italiane “buone pratiche”, sono tanti piccoli semi che aiutano a cambiare in meglio un sistema che ancora oggi è lontano, troppo lontano, da quanto la nostra Costituzione indica. La pena deve rieducare, il carcere deve aiutare le persone che hanno commesso dei reati a reinserirsi nella società. I garanti comunali dei detenuti sono come delle sentinelle, svolgono un ruolo importante di garanzia per i detenuti e per tutto il sistema. Per questo è una buona notizia il recente protocollo siglato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà con l’ANCI. Il documento indica che d’ora in avanti ci sarà una maggiore omogeneità sui criteri di nomina e sul metodo di lavoro dei garanti dei detenuti nominati dai Comuni.

Negli stessi giorni, sempre a Roma, è stato siglato un altro protocollo di intesa. Lo hanno siglato la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Luigi Ferraris, per favorire il reinserimento sociale dei detenuti attraverso percorsi di formazione e un loro possibile impiego in programmi di pubblica utilità e lavori intramurari.
«Collaborazioni con aziende prestigiose che operano a livello nazionale costituiscono uno strumento indispensabile perché l’amministrazione penitenziaria possa adempiere al meglio al suo mandato istituzionale, offrendo opportunità formative e lavorative importanti per dare un senso alla pena» ha commentato la Ministra Cartabia, che ha poi voluto evidenziare: «aspetti simbolici in quest’accordo: Ferrovie dello Stato evoca l’idea di rete e connessioni, che sono l’opposto – ha aggiunto la Guardasigilli – dell’isolamento che generalmente si accompagna al mondo del carcere».

A Lecce c’è il marchio Made in Carcere, un tipico esempio di economia sociale, di sostenibilità. Il brand nasce nel 2007 dal talento creativo di Luciana Delle Donne. Il laboratorio produce borse, accessori, originali e tutti colorati, confezionati da una ventina di donne al margine della società, donne detenute che hanno deciso di rimettersi in gioco. Da quando è nata, questa realtà ha coinvolto più di 200 persone. L’obiettivo è coniugare buon senso e creatività, per dimostrare attraverso la raccolta di tessuti di scarto, e la realizzazione di laboratori in carcere da parte di donne detenute, che “il bello esiste e va ricercato ovunque”. Il modello di sviluppo sostenibile non è quello della classica charity, ossia di un'organizzazione di beneficenza, bensì quello di una impresa sociale, in grado di promuovere benessere a persone svantaggiate.


Chiara Genisio
NP agosto / settembre 2022

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