La guerra al tempo dei social

Pubblicato il 21-08-2022

di Michelangelo Dotta

La speranza è che quando uscirà questo articolo la guerra fratricida in Ucraina sia finita ma la certezza, a oggi, è che quella, come tutte le altre guerre, aumenta un circuito di barbarie e odio che ogni giorno che passa è sempre più difficile disinnescare. E sì, perché la guerra, da sempre, se da un lato incute paura e orrore, dall’altro si rende plausibile e affascinante in nome di un potere sulle sorti del prossimo in grado di sedurre gli uomini.

Quella che generano le armi è un’alchimia inebriante in grado di offuscare le dinamiche di distruzione e morte che esse medesime inevitabilmente innescano. Al loro cospetto le menti degli uomini sembrano paralizzarsi, le convinzioni mutano, ritornano istinti sopiti e sconosciuti, cedono i freni inibitori, si rispolverano rancori e odi sepolti nel tempo, tutto repentinamente cambia in maniera inaspettata e il riflesso di questa catastrofe si riverbera sul mondo circostante prigioniero in questa morsa.

L’informazione televisiva rilancia incessante questi inspiegabili paradigmi di violenza e di distruzione e instilla come un tarlo nella mente delle persone un’inquietudine e un senso di spaesamento che, di fatto, fa crollare molte certezze e conquiste della società, in particolar modo quelle occidentali.
Ma perché il racconto per immagini di questo conflitto ci pare così vicino, quasi personale.
Sicuramente perché geograficamente è quasi dentro casa, poi perché viene vissuto come un attentato alla democrazia che abbiamo l’abitudine di dare per scontata dopo 70 anni di pace europea, ma c'è forse un terzo elemento che in maniera indiretta ci colpisce particolarmente.

Questa guerra è narrata dai social e documentata dai telefonini, quindi è ideologicamente e intrinsecamente figlia del nostro tempo e del nostro linguaggio tecnologico in cui irrompe spezzando con violenza la consuetudine quotidiana all’inutile passatempo.

Non più le dirette in esclusiva mondiale di Peter Arnett della 1a guerra del Golfo, né le telecamere sugli elmetti dei marines in azione e i bombardamenti in diretta notturna dall’hotel Palestine di Baghdad della 2a. Non più guerre “in posa”, raccontate e fotografate da giornalisti “embedded” con telecamere professionali, ottiche lunghe e dovizia di dettagli quasi sempre raccapriccianti (ricordate i tronconi di soldati americani carbonizzati e smembrati trascinati come trofei per le strade?), niente più regia e montaggio dei servizi, controllo e verifica delle fonti.
Tutto superato e confinato in uno spazio lontano.

Ora l’informazione che è diventata di riferimento parte quella affidata alla buona volontà e onestà di semplici individui che si trovano a vivere una determinata situazione, la riprendono e la postano in rete… quanto al resto, ognuno è libero di trarre le proprie conclusioni. Ma è proprio questa la guerra? O è solo il suo simulacro trasformato e decontestualizzato dalla tecnologia “fai da te”?


Michelangelo Dotta
NP aprile 2022

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