Il buio addosso

Pubblicato il 17-05-2022

di Matteo Spicuglia

La vita non è un film e ci sono storie che non sono di cartone. Storie fatte di carne e di sangue e di parole che troppo spesso rimangono mute. Soprattutto in Paesi e regioni che senza volerlo finiscono nel cono d’ombra. Nel nostro eterno presenti, siamo diventati ormai dei maestri in questo. Pensiamo all’Afghanistan, ai fiumi di inchiostro e di parole spesi per raccontare il ritiro rocambolesco dell’Occidente. Abbiamo ancora negli occhi le immagini della gente ammassata all’aeroporto di Kabul, la disperazione che ti porta addirittura ad arrampicarti sulle ali di un aereo pur di scappare, la tenerezza tragica di genitori che passavano i neonati ai marines come ultima speranza.
Era agosto. Fuori l’Occidente e la sua utopia di esportare democrazia con molte armi e poco sviluppo. Dentro i padroni di ieri, i talebani e i loro nuovi sponsor. Sono passati sei mesi e si sa molto poco di quanto stia avvenendo. Non è facile rompere il muro del silenzio. Eppure, è possibile.

Lo ha fatto un giornalista della Rai, Giammarco Sicuro, in una corrispondenza che resterà tra le pagine più belle e tragiche di questo mestiere. A Kabul e Kandahar per raccontare un mondo che non c’è più e l’inizio di un nuovo abisso. Ci sono delle istantanee che spezzano il fiato. Le immagini di decine di bambini denutriti accolti in un ospedale dell’Unicef. Il dieci per cento di loro morirà.
Poi il dramma dei campi profughi interni, le famiglie fuggite da aree del Paese e finite a vivere nell’indigenza totale. Scrive Giammarco: «Squallide capanne, vicoli di melma e neve sciolta, promiscuità con animali, epidemie e condizione dei bambini degradata. Lo capisci dallo sporco addosso, dai vestiti logori e dall’aspetto malato».
E ancora, il girone dantesco del carcere di Kandahar. Quando c’erano gli americani ospitava detenuti talebani. Adesso non più. Le sezioni sono piene di prigionieri politici, ex militari del vecchio esercito, ma soprattutto di persone omosessuali e con problemi di tossicodipendenza. «Sono ammassate in tre corridoi angusti e bui. Non c'è luce, non c'è aria, non c'è alcuna dignità per questi esseri umani. Le celle sono sporche oltre ogni immaginazione, i vestiti lacerati e i volti come paralizzati. I carcerati ti osservano immobili e quasi privi di vita da dietro le sbarre: anime perse»
Ma non c’è fine all’assurdo. «Mentre mi trovavo nel carcere, – ha raccontato Sicuro – un furgoncino ha portato all'interno dell'istituto un gruppo di bambini. Erano in condizioni penose e piangevano disperati. Le mani sporche all'inverosimile, i vestiti laceri e addosso gli oggetti utili per i lavori che stavano svolgendo. Mi hanno spiegato che si tratta di bambini di strada che vengono prelevati e portati in prigione dai talebani». I loro volti sono un pugno nello stomaco: vedi la paura, il nonsenso, la violenza subita, l’esatto opposto di quello che dovrebbe essere il destino di un bambino.

Per fortuna, quei ragazzi sono stati liberati, proprio grazie alla segnalazione di Sicuro all’Unicef. Ma è una goccia nel mare. «L’Afghanistan è la peggiore crisi globale sia dal punto di vista umanitario che dei diritti umani. Non possiamo dimenticarlo», conferma Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia.
Non dimenticare è il compito di tutti, l’unico per rispondere al buio che in apparenza vince, portandosi dietro un intero Paese. Il buio che ci si deve appiccicare addosso e di cui tutti dovremo rendere conto.


Matteo Spicuglia
NP febbraio 2022

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