Green pass per il cielo

Pubblicato il 02-01-2022

di Rinaldo Canalis

«Hai telefonato?». Questa è una domanda che sempre più spesso faccio. La gente pensa di smuovere l'altro verso il bene, con un whatsapp o una mail e alla fine quello che poteva capitare, non succede. Da quando hanno messo il viva voce Android in macchina, passo i miei viaggi a telefonare. Ho una rubrica di 6.800 nomi e alla fine di ogni anno verifico come è stato il trend di crescita. Ogni tanto rifletto se questi atteggiamenti sono positivi o meno e alla fine mi convinco che senza quella rubrica non farei tutto il poco bene che riesco a fare. Non solo: non trovo mai chi mi dice di toglierlo dalle mailing list perché infastidito dai messaggi o altro.

Mettersi nei panni degli altri è la condizione indispensabile per aver cura dell'altro, ovunque e in qualunque situazione si trovi. Eppure, sempre più trovo qualcuno che fa qualcosa per farmi un piacere, per sentirsi un po' a posto con la coscienza. Quando Ernesto Olivero inventò la restituzione negli anni 70, mi accodai al suo pensiero inventando la Re.Te. (restituzione tecnologica). Era, ed è importante, non sentirsi troppo a posto di fronte all'umanità derelitta per i più svariati problemi. Quasi a sentirsi un po' "ladri di felicità immeritata". La Re.Te. voleva essere un aspetto del donarsi, quasi un'evoluzione, per riuscire a risolvere definitivamente i problemi che attanagliano i poveri, come lo è per tutta la tecnologia e la scienza.

L'essere nati a certe latitudini, in certe famiglie, con una discreta salute, non è merito nostro ed ho sempre pensato che se i presupposti di vita erano molto al di sopra della moltitudine della gente di tutto il mondo, ci doveva essere un motivo e dovevo trarne delle conseguenze, pena il vivere una vita da ipocrita. Alla fine, da vivo o dopo morto, ne avrei pagate le conseguenze.
Dal 1980, anno in cui è nata la Re.Te.
una innumerevole e multiforme serie di gesti sono scaturiti dal Sermig.
Dall'inviare il pacchetto di farmaci nel più sperduto dispensario della terra, alla realizzazione dell'idropedale per potabilizzare l'acqua del Bangladesh che è contaminata dall'arsenico. Dal tir mensile inviato in Romania per sostenere la vita dei bambini di strada al cloratore inviato in Senegal per disinfettare l'acqua dai bacilli ed evitare dissenterie nefaste. Dalla lampada fotovoltaica per permettere al mandriano Bhil del Rajasthan di studiare la sera, alle quintalate di cibo distribuite alle Caritas e centri di ascolto del pinerolese.
All'ingresso del VillaggioGlobale di Cumiana, da dove partono i carichi piccoli o grandi e dove si fanno gli esperimenti per verificare che le idee tecniche funzionino, da un mese c'è un grande cartellone formato da tanti piccoli cartelli. Ogni cartello rappresenta uno Stato e reca scritto la data di inizio degli aiuti, i partner principali, le quantità inviate, quelle 9.240 tonnellate, il numero delle spedizioni fatte e le foto dei partner stessi. L'abbiamo chiamato cartello "green pass", per essere alla moda. Dico a tutti di guardarlo bene perché un giorno ci potrebbe servire.

Perché? Alla resa dei conti saremo giudicati sulla carità, e non potrà che essere così visto che al mondo tutto ha una logica; se abbiamo avuto e qualcun altro no, le tonnellate inviate e segnate sul "green pass" del Villaggio, potrebbero fare la differenza per la nostra gioia eterna.

Ma torniamo alla telefonata. Tanta gente si perde il meglio della vita, badando solo ai fatti propri. Ancor di più non curandosi del bene che potrebbe fare il suo vicino. La paura di spalancare porte e finestre della propria casa ci obbliga a respirare un'aria resa sempre più mefitica dalla nostra vita stessa.
Mando le mail perché parlare, incontrare, ospitare, mi costa fatica e magari maschero questo atteggiamento dietro la scusa del non avere tempo perché sono troppe le mie relazioni sociali che in realtà si riducono sempre di più.
Qualcuno dovrebbe ricordarci che oltre se stessi esiste il mondo ed è per noi.
Ed è proprio quella persona specifica che può interagire con noi. Non un'altra.
Non è un mestiere da eroi quello del ricordarlo: fa parte semplicemente della nostra capacità di espanderci positivamente, anche in questo modo, in quel terreno che alcuni chiamano, amore.

Il monaco, il carcerato, dalla loro cella a volte ci insegnano che il modo di uscire da noi stessi non ha limiti.
Ho conosciuto gente di entrambe le categorie che, senza muoversi di casa, è stata capace di entrare nel cuore di tanti. Qualcuno nel profondo del cuore di Dio. E diciamo poco! Tutto parte da cosa desidero. Voglio davvero conoscere per voler bene all'altro, oppure pian piano mi riduco a non voler bene nemmeno più a me stesso, incurante addirittura della mia salute?

Non sono mai andato in Africa. Solo alcune volte ho incontrato i bambini di strada della Romania. C'è gente che se non va in vacanza, e magari in vacanza all'estero, è come privato di tanto. Ma io sono felice nel guardare quel tabellone "green pass" perché riesco benissimo a vederci oltre. Aver cura del povero è importante, ma ho capito che è altrettanto importante aver cura di chi può aiutare al meglio quel povero. Chi ha cura per antonomasia? Una mamma, un papà. Non è che sono proprio in crisi queste figure? In particolare il padre. Da quando gli si è tolto l'ambito dell'essere padrone, non sa più cosa essere.
Ho imparato che per comandare bisogna imparare ad obbedire. Quanti comandano senza mai aver obbedito e fanno grandi rovine! Se uno avesse imparato ad essere "figlio", prima di tutto, sarebbe al momento buono anche un buon padre e una buona madre. Ci si trova al mondo senza riferimenti di prossimità. Ma c'è sempre il modo di andare a cercarci padri e madri da cui imparare. L'importante è non pensare mai di essere capaci di auto costruirsi con il fai-da-te!


Rinaldo Canalis
NP Focus
ottobre 2021

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