Genitori sotto inchiesta

Pubblicato il 11-08-2021

di Gabriella del Pero

Nell’ultimo mese mi è capitato di rimanere piuttosto sorpresa di fronte alle affermazioni di alcuni genitori, venuti a colloquio per difficoltà molto differenti nei rapporti con i loro figli.

Nel primo caso si trattava del problema scolastico di un ragazzino di tredici anni, che in queste settimane non è più riuscito ad andare a scuola e ha manifestato un’ansia evidente (con tanto di sintomi fisici come tachicardia, sudorazione, capogiri, tremore…) ogniqualvolta mamma e papà cercavano di convincerlo a seguire almeno la didattica online. Nel secondo caso i genitori di un ragazzo di circa sedici anni esprimevano la loro grave preoccupazione per alcuni comportamenti "trasgressivi" e senza regole del figlio.
I veri protagonisti di queste storie parevano essere in entrambe le situazioni gli stessi genitori con le loro angosce, mentre i due ragazzi scivolavano sempre sullo sfondo.

E il cuore della difficoltà di questi adulti era l’affannosa ricerca del colpevole e quindi di una soluzione pratica immediata.
Tutti ammettevano di avere oscillato tra il desiderio di uno sfogo rabbioso contro i figli e la tentazione di scagliarsi con forza contro il mondo esterno, (gli insegnanti e le "cattive compagnie"). Dall’idea di dettare legge e punire in modo autoritario (ruolo paterno estremizzato) all’idea di difendere incondizionatamente i comportamenti dei figli visti come vittime innocenti (ruolo materno estremizzato).
Da un’eccessiva lontananza che rende inadatti alla comprensione ad un eccessivo avvicinamento che impedisce di cogliere la realtà oggettiva della situazione.

Servirebbe al contrario una giusta distanza per cominciare a capire cosa sta succedendo. Anche perché ciò che emerge di solito è – come in un iceberg – solo la parte più evidente e superficiale, ma sotto si nasconde una parte più complessa e difficile da comprendere.
Provo quindi a proporre uno spazio di riflessione comune per cercare insieme dove poter collocare questa giusta distanza. Reazione? «Non ora, non c’è fretta, per (s)fortuna è arrivato nel frattempo il lockdown, con il rientro della nostra regione in "zona rossa"…!!».

La chiusura forzata delle scuole da una parte e l’inasprirsi delle regole del distanziamento dall’altra, infatti, hanno al momento allontanato l’urgenza e sciolto la tensione nelle due famiglie: i genitori si sono sentiti sgravati da ogni responsabilità e diretto impegno personale nei confronti dei loro ragazzi, in quanto questi ultimi sono ora "giustificati" («tanto a scuola adesso non ci può andare nessuno..») o "protetti" («meno male che adesso non si può più uscire...»). Come dire che è stata la pandemia ad offrire inaspettatamente a queste persone una rapida via d’uscita da una fastidiosa condizione di stallo (a conferma del proverbio che non tutti i mali vengono per nuocere?).

Così l’allarme e la preoccupazione sono rientrati con il sollievo di tutti e si può rimandare ad un futuro imprecisato la fatica di andare a fondo delle questioni reali. Inutile dire che tutto questo si rivelerà nel tempo improduttivo e frustrante: evitare i problemi è infatti come intraprendere una scorciatoia impraticabile. Non appena si uscirà dalla zona rossa i nodi torneranno al pettine, cioè i problemi si ripresenteranno puntuali e probabilmente più gravi di prima. Limitarsi a rimandare non serve a nulla, si sa, ma ora la tentazione di "non pensarci" è davvero molto più forte di ogni buona intenzione.

Che avesse ragione il regista e scrittore francese Alejandro Jodorowsky quando affermava che «risolvere i nostri problemi implica risolvere la relazione con noi stessi e con il nostro passato. Siamo legati alle nostre difficoltà. Non bisogna stupirsi quindi se qualcuno tergiversa e s’ingegna su come sabotarsi: in realtà non vuole davvero curarsi... La gente desidera smettere di soffrire, è vero, ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare... »?

(A. Jodorowsky, Psicomagia, Feltrinelli)


Gabriella del Pero
NP Aprile 2021

 

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