Esserci insieme

Pubblicato il 25-02-2022

di Arsenale dell’Incontro

Il 14 di ottobre abbiamo partecipato a un webinar organizzato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo di Amman all’interno del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2021 sul tema: Abilitare le persone con disabilità attraverso l’impegno della comunità e l’inclusione sociale. Tra gli ospiti l’ambasciatore in Giordania Fabio Cassese, il principe Mired Raed Zeid Al-Hussein presidente del Consiglio superiore per i diritti delle persone con disabilità, il direttore di AICS in Giordania Emilio Cabasino ed esperti su queste tematiche sia italiani che giordani.

A noi è stato chiesto di condividere l’esperienza dell’Arsenale dell’Incontro su questo tema, portando una testimonianza che partisse da quello che osserviamo nel nostro servizio quotidiano. Abbiamo cercato di fare una sintesi e ci è venuta incontro una frase che spesso usiamo: per crescere un bambino ci vuole un villaggio, che parte dagli educatori e dalla famiglia per arrivare alla società intera. E più coinvolge tutti le componenti della società, più riesce ad essere efficace nel suo compito educativo. Condividiamo anche con voi alcuni stralci degli interventi di Ala e Ghassan, due degli educatori che sono con noi fin dai primi anni di Arsenale dell’Incontro e che hanno trasmesso con passione questo sentire l’importanza di una intera comunità che si prende cura dei diversamente abili.

«Dal 2009 a oggi ho visto crescere i servizi dell’Arsenale come una madre vede crescere i figli. All’inizio i servizi che offrivamo erano più limitati, semplici, i bambini erano pochi… Ma ogni volta che abbiamo percepito che i bisogni della comunità attorno a noi aumentavano ci siamo sempre chiesti cosa potevamo fare, e così un passo alla volta i “figli” sono aumentati e cresciuti… e noi con loro. Ci sono famiglie che arrivano all’Arsenale perché si sono rivolte a medici o specialisti per chiedere aiuto per i loro figli e sono state indirizzate a noi. Con loro l’inizio è più semplice, perché c’è già un’accettazione della situazione, una consapevolezza in loro. Ce ne sono altre che invece arrivano perché non sanno più cosa fare, come gestire la sofferenza che portano e arrivano qui solo perché cercano qualcuno che ascolti i loro problemi e hanno trovato nell’Arsenale una porta aperta. Da quell’ascolto inizia un dialogo, che non sempre è facile, perché spesso parte da una grande fatica, da un rifiuto: serve accompagnarli passo dopo passo verso un’apertura, verso un’accoglienza, verso una collaborazione. Perché se la famiglia non accetta di condividere il percorso educativo dei propri figli noi possiamo anche fare tutta la nostra parte ma non c’è un vero progresso. Oggi l’Arsenale dell’Incontro è un esempio in piccolo di comunità, della società: ci sono i bambini e i ragazzi che lo frequentano e gli educatori, ma anche le famiglie, i volontari hanno un ruolo centrale. Più tutti noi ci mettiamo in ascolto delle necessità che ci portano le famiglie, delle loro fatiche nella vita quotidiana, nel rapporto con la società… più riusciamo ad essere veramente di aiuto e di sostegno. La famiglia, con i genitori, i fratelli, i cugini, gli zii, i nonni… è la prima comunità con cui serve che il bimbo entri in relazione. Poi questo tessuto si allarga alla comunità locale, alla scuola… Questo richiede che tra noi educatori ci sia un grande lavoro di squadra, che non ci sia competizione ma impariamo sempre di più a metterci insieme a servizio. Ognuno con le sue competenze e la sua personalità ma con l’unico obiettivo di fare il bene delle persone che ci sono affidate. Se non lavoriamo insieme tra noi non possiamo essere d’aiuto per l’integrazione dei nostri piccoli nella comunità, perché l’unità e l’integrazione cominciano da noi, dal tenere insieme e collaborare nelle nostre diversità».

«Con i ragazzi più grandi, tanti tra loro sono ormai maggiorenni, cerchiamo continuamente di trovare percorsi che li aiutino a potenziare le loro abilità, la loro capacità di relazionarsi con gli altri, sempre con il desiderio di accompagnarli in un cammino di partecipazione sempre più attiva alla vita sociale, di integrazione vera. Ogni volta che sentiamo che uno dei ragazzi
ha un potenziale più alto di quello che immaginavamo, cerchiamo nuove attività, nuove idee, che gli permettano di sviluppare a pieno tutte le sue capacità. E presto in questo cammino ci siamo accorti che non bastava più quello che potevamo fare da soli come educatori, allora abbiamo cercato dei tecnici che avessero le competenze professionali che a noi mancavano. È successo con l’agricoltura, con il mosaico, con il cucito… dall’incontro tra le competenze degli educatori e le competenze tecniche dei professionisti sono nati percorsi che sono una novità e che stanno aiutando molto i nostri ragazzi perché guardano alla loro vita a 360 gradi, percorsi in cui competenze educative, professionali, relazionali – grazie alla squadra che lavora insieme – si fondono insieme. Questo sta aiutando molto i ragazzi anche ad aumentare la fiducia in se stessi e nelle relazioni con le persone nuove che incontrano o che ci fanno visita all’Arsenale. Quante volte ci è capitato di vedere persone arrivare all’Arsenale spaventate all’idea dell’incontro con la disabilità oppure convinte che i nostri ragazzi non possano fare nulla e andare via da qui con un’idea completamente opposta. La fiducia degli uni si trasmette agli altri».

Quello che ci ha colpito di più sono state le loro risposte quando gli abbiamo chiesto di dire quello che sentivano più importante, proprio partendo dalla loro esperienza qui all’Arsenale. «Io credo che non ci siano genitori che non amano i loro figli, credo che la fatica grande che a volte emerge e appare come mancanza di amore venga da un rifiuto a livello sociale, comunitario che crea distanze e solitudini grandi. Credo che come comunità educative e anche come comunità sociale abbiamo un ruolo importantissimo: far sentire sempre a tutti che la porta è aperta, che per ognuno c’è un posto».

«La cosa più importante che sento di dover dire è questa: la chiave di tutto è la costanza. Non farsi fermare dalle difficoltà, dalla stanchezza, ma dare continuità, esserci sempre. Perché questo tranquillizza anche le famiglie che il nostro essere accanto a loro non è “a tempo”. E li aiuta ad accettare l’idea che i tempi di crescita dei loro figli potrebbero richiedere anche percorsi lunghi, molto lunghi… puoi chiedere loro di accoglierli con fiducia solo se in qualche modo gli garantisci che non saranno mai soli, che ci avranno sempre accanto. Allora pian piano il desiderio che è nel cuore di ogni genitore di vedere il proprio figlio raggiungere in fretta e bene tutti gli obiettivi del suo percorso formativo passa un po’ in secondo piano. E questo dà speranza a tutti, perché non è più questione di bravura, ma di esserci insieme».


Arsenale dell’Incontro
NP novembre 2021

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