Damnatio memoriae

Pubblicato il 10-07-2022

di Renato Bonomo

Una celebre foto del 1920 ritrae Lenin mentre tiene un discorso alla folla radunata in piazza Sverdlov a Mosca. Accanto al podio trovava posto Lev Trockij, il fondatore dell’Armata Rossa, che fu in seguito cancellato dalla censura dopo aver perso il duello con Stalin per la successione allo stesso Lenin. La manipolazione delle immagini era una pratica molto diffusa nell’Unione sovietica e serviva a Stalin per cancellare anche il ricordo di chi era già stato fisicamente estromesso dalla scena politica.

Gli esempi di eliminazione del ricordo sono però numerosi e diffusi in tutte le latitudini e in tutte le epoche. Tra gli episodi più recenti, ricordiamo le distruzioni dei Buddha di Bamiyan, le due grandi statue di Buddha del VI secolo da parte dei talebani nel 2001, o le esplosioni all’interno del complesso archeologico di Palmira in Siria da parte dell’isis nel 2015. Negli Stati Uniti e nel continente americano, oggetti di distruzione e cancellazione sono i simboli legati alla Confederazione e le statue di Colombo in nome del genocidio delle popolazioni indigene.

I romani chiamavano questo atteggiamento damnatio memoriae, letteralmente «condanna della memoria» e l’avevano istituzionalizzata in una vera e propria sanzione inflitta alle personalità politiche che si erano macchiate di atti gravissimi come l’alto tradimento e l’ostilità nei confronti del Senato. La misura prevedeva la cancellazione dei ritratti e delle iscrizioni relative ai personaggi colpiti da un tale provvedimento. Molte personalità, come Marco Antonio, Nerone, Domiziano, hanno subito questa misura.

A ben vedere, la damnatio memoriae non è solo un particolare istituto del mondo romano, è una vera e propria inclinazione degli uomini e delle società di tutti i tempi. Nel 2004 uscì un film statunitense particolarmente interessante, intitolato Se mi lasci ti cancello, che racconta di due ex innamorati che, dopo essersi affidati a una clinica della memoria per cancellare ogni ricordo della vita insieme, si scoprono nuovamente e inconsapevolmente innamorati.
La cancellazione del ricordo come annullamento del male, del nemico. L’oblio ci restituisce l’illusoria convinzione di essere onnipotenti, ma, in fondo, si comporta come una sostanza stupefacente che non risolve i problemi, ma semplicemente ci trasporta temporaneamente in un’altra dimensione, irreale però. Cancellare il ricordo non può cancellare l’oggetto del ricordo stesso.
L’esperienza individuale e quella sociale dimostrano quali effetti negativi vengano dalla rimozione e dalla cancellazione dei nostri ricordi negativi. D’altra parte, si cresce veramente quando riusciamo a fare i conti con la nostra sofferenza e le nostre fatiche. Questo principio vale anche per la società. Nel Seicento, essa ha riconosciuto il valore della libertà e del rispetto della dignità altri perché ha vissuto sulla propria pelle la barbarie delle guerre di religione e ha saputo superarle.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il nostro Paese ha potuto scrivere l’attuale costituzione repubblicana perché ha saputo trovare nuove fondamenta della vita civile nel rifiuto della dittatura e nel ripudio della guerra. Sono processi che non sono mai né lineari né privi di sofferenza. La vita individuale e sociale si impasta di profonde contraddizioni, ma non è dimenticando ciò che ci disturba che possiamo affrontarla.


Renato Bonomo
NP marzo 2022

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