Ci riabbracciamo. Ma come?

Pubblicato il 22-10-2021

di Gian Mario Ricciardi



Sì, forse torneremo, molto lentamente, ad abbracciarci. Ma come? Con quale stato d'animo? Quali timori?

Il Covid-19 che ha ucciso senza pietà, ci ha lasciato eredità non richieste. Sono tante. Sono fisiche perché chi l'ha avuto e l'ha fermato si porta dentro le scorie di questo maledetto: c'è chi fatica a riacquistare, per intero, il respiro; chi fatica a camminare; chi ha sensazioni di paura improvvise e difficilmente controllabili; chi un senso di stanchezza a volte improvviso e dilagante; chi ha tante altre presunte patologie. Ma questi sono gli effetti fisici e gli altri?

Un anno e più di "distanziamento", in realtà, ha capovolto tutto. Eravamo già lontani prima, avvolti e raggomitolati nei nostri egoismi; eravamo già sospettosi prima; eravamo diffidenti, a volte (anzi spesso) cattivi. E ora?
Ora molto di più. Tutti i nostri gesti sono stati lesionati: nessun segno di pace a messa; niente strette di mano e quell'incredibile toccar di gomito; la mano alzata o poggiata sul cuore. Sono tutti "segni" di un cambio di passo che è avvenuto anche se noi vogliamo negarlo. Ecco come il Covid-19 ci ha modificati dentro.
Adesso, quando ci avviciniamo, c'è sempre qualcuno che ci guarda con quegli occhi misericordiosi quasi per dire «ma è sconveniente e pericoloso».

Perfino in Italia, il Paese in cui ci si abbracciava al primo incontro, in cui si stampava un doppio bacio sulla guancia anche agli sconosciuti, in cui si conversava toccandosi, le cose sono cambiate. Vedo persone scansarsi di scatto per una pacca sulla spalla o per una innocente carezza sull'avambraccio.
È così ed è poco bello. Si tratta di un cambiamento culturale profondo, molto più di quanto si pensi. Il cudding, il farsi le coccole con cui tutti gli animali (dagli orango agli scimpanzè) gestiscono le loro emozioni, non ce l'abbiamo più dal marzo 2020.
Eppure c'è rimasta solo la "retorica dell'abbraccio" in un mondo che non crede più a niente.

Consumate, e smentite, tutte le parole, ci sembra che non ci sia restato che l'abbraccio per attingere e comunicare una verità di sentimenti altrimenti sfuggente o sospetta. Quando non sappiamo che cosa dire («le parole non servono»: così ci esprimiamo), pensiamo che un abbraccio sia l'unica via d'uscita. Cosa c'è infatti di più concreto, carnale, forte e indiscutibile di un abbraccio?

Che cosa più di un abbraccio può saziare il nostro desiderio di prossimità, di contatto, di calore? Che cosa esorcizza più di un abbraccio la solitudine, cioè in definitiva la morte? Se stiamo così male, di questi tempi, è anche perché il virus ci ha tolto, o quantomeno ha inquinato di sospetto, anche gli abbracci. Dovremo ancora attendere tanto tempo, per prudenza, per responsabilità, per sicurezza. L'unica speranza è che il maledetto virus non ci abbia rubato per sempre il calore di una stretta di mano. Sembra che un abbraccio svolga anche una grande funzione terapeutica sul corpo e sulla mente, per calmare le nostre paure e liberarci dalle ansie, ma quel tempo è ancora lontano, molto lontano perché il virus ci ha rubato un pezzo di cuore.


Gian Mario Ricciardi
NP giugno/luglio 2021

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