Dal Brasile: l’unica Messa che sappiamo celebrare

Pubblicato il 25-11-2015

 

Prima di ripartire per il Brasile non ero riuscito ad invitare tutti gli amici di San Paolo per la nostra prima messa all'Arsenale della Speranza, prevista per il 14 novembre. Il tempo non me lo aveva permesso, ma quando siamo entrati nel grande salone della “Vida Fraterna”, adibito a chiesa, il colpo d’occhio è stato bellissimo!

In quel momento mi è passato davanti agli occhi tutto l’anno trascorso in Italia, un anno di sacrifici, di continui spostamenti tra l’Arsenale della Pace, il Seminario di Torino, la parrocchia “di servizio” e con la testa e il cuore sempre dislocati anche in Brasile, ma certamente un anno di crescita, di fraternità, di grande apertura alle novità, alle emozioni, all'incontro con nuovi amici. Soprattutto, mi sono subito venute in mente le tante “prime messe” celebrate in questo mese e mezzo di sacerdozio.

Come dimenticarsi della primissima celebrazione all'Arsenale della Pace, il 4 ottobre, con un’emozione che si tagliava a fette, lacrime che non uscivano perché non ce n’erano più, ed io lì, tranquillo, come se fossi sempre stato all'altare (“un veterano”, come mi hanno detto sorridendo qui in Brasile), ci ho portato tutti, ma proprio tutti.

Poi la messa al Santuario della Consolata di Torino, domenica 11 ottobre, portando il nostro amore alla Madonna che ci ha sempre custoditi nei tanti anni di “cantiere” all'Arsenale, dove migliaia di giovani e volontari hanno trasformato un vecchio rudere militare in un sogno concreto di pace e accoglienza. Chissà quante volte la Consolata ha lavorato con noi in quel cantiere: aiutaci ancora Madre Consolata!

E ancora, la prima messa nel nascente Arsenale dell’Accoglienza, a Borghetto Lodigiano, nella radiosa comunità di Montetauro, a Rimini e poi nelle nostre tre parrocchie di origine. Nella mia parrocchia, San Barnaba di Gratosoglio, a Milano, è avvenuto qualcosa di particolare. Quella sì, ho avuto tempo per prepararla bene. Ho invitato, uno ad uno, tutti gli amici di cui avevo conservato un contatto e la grande chiesa, strapiena, mi ha abbracciato con un silenzio che mi ha tranquillizzato, nonostante il rito ambrosiano che un po’ mi “intimoriva”. “Ci sono più persone che a Natale!” mi ha confidato una signora che mi conosce da quando compravo il gelato all’oratorio e scorrazzavo di qua e di là con il mio fedele pallone. Quante emozioni, che hanno fatto felici tanti.

Indelebile resterà anche il viaggio in Terra Santa, all'inizio di novembre. Bellissima la prima messa all’Arsenale dell’Incontro di Madaba. Ci aspettavano! Lo si percepiva nell’aria. I giovani “elettrici”, felici, veri, ci hanno avvolti con le musiche del Sermig cantate in arabo. Vi assicuro che quei suoni e quelle parole ti entrano dentro come una lama tagliente, ti fanno piangere ogni secondo, il cuore capisce tutto. Ci aspettavano anche a Gerusalemme: celebrare la “prima messa” nella basilica del Santo Sepolcro, al Golgota, alle 5 del mattino non accade certo tutti i giorni o a tutti i sacerdoti appena ordinati. Un’altro immenso dono! In quel luogo, che ingloba la collina della crocifissione e il santo sepolcro scavato nella roccia, ci abbiamo portato tutti, uno ad uno, nome per nome, anima per anima, con noi c’erano soltanto tre fedeli, ma in realtà c’era tutto l’universo del Sermig, la Fraternità, gli amici, gli ospiti e anche i nemici, se mai ce ne sono.

Ecco, quel grande salone, strapieno di gente, nel cuore di San Paolo del Brasile, ora rifletteva, come uno specchio, tutto quello che era accaduto in quest’ultimo, ricchissimo anno. Apparentemente, gli amici brasiliani erano stati sinora i più lontani fisicamente, ma in realtà, non era così. Si è lontani soltanto se si vuol rimanere lontani e non si fa nulla per ricordarsi reciprocamente, ma qui in Brasile non siamo mai stati lontani, neanche per un secondo. Lo hanno percepito anche Ernesto e Rosanna che qui “sono di casa”. Si intuiva dagli sguardi dei tanti amici con cui non ci vedevamo da molto tempo, da ogni membro del nostro coro, tutti “tirati a lucido” per il grande evento, dalla cura nella preparazione della celebrazione. Anche noi eravamo “tirati a lucido”: poche ore prima, gli amici della Fraternità brasiliana ci avevano regalato una bellissima casula bianca con l’immagine stilizzata della Madonnina Aparecida.

Nulla di sfarzoso o ricco, al contrario, semplice e delicato, di un bianco “sporcabile” per le centinaia di abbracci del dopo celebrazione. Ma anche se fossimo stati brutti – lo dico sorridendo – eravamo belli, perché lo eravamo tutti. Quando siamo entrati, con gli altri sacerdoti che sono riusciti a liberarsi dai mille impegni, la commozione si è fatta concreta, le bandierine della pace hanno colorato “brasilianamente” la sala e la festa tanto attesa ha avuto inizio. Finalmente abbiamo i “nostri” sacerdoti.

È stato bello sentire come in quel salone non c’era solo la comunità brasiliana del Sermig, non c’eravamo solo noi sacerdoti, Ernesto, Rosanna… c’erano tutti quelli che in quest’avventura di 50 anni hanno vissuto con noi il sogno di cambiare il mondo e di volersi bene. Sì, perché siamo gente che vuol voler bene e volersi bene, e questa è l’unica messa che sappiamo celebrare, quella che vogliamo portare nella vita e all’altare. Come Dio, che ama e si riconosce incapace di non amare, anche noi, in questo viaggio appena iniziato del sacerdozio, vorremmo scoprire, fin da subito, che non sappiamo celebrare senza Gesù, non sappiamo andare all’altare senza far emerge lui: in Italia, in Giordania, in Brasile, in qualsiasi chiesa del mondo, con tante o con poche persone, davanti ai più poveri o a qualsiasi altro, siamo davanti a Gesù, siamo davanti all’umanità.

È stato bello, infine, ricordare gli amici dell’Arsenale del Cielo brasiliani. Erano lì anche loro, con un punto di vista privilegiato, protettori e intercessori in paradiso: Antonio Palladino, uomo semplice e sempre disponibile, dom Decio Pereira, dom Helder Camara e, non ultimo, dom Luciano Mendes, “scuola” di bontà, esempio di uomo e di sacerdote: lui ci ha insegnato come immergerci nell’umanità delle persone senza perdere la “regalità” donataci da Dio. Personalmente, lo ricordo con emozione nelle tante messe celebrate nella piccola cappellina della Fraternità: semplicità pura davanti al Signore. Così vogliamo essere anche noi, nella normalità del nostro servizio sacerdotale. Così è stata la prima messa all’Arsenale della Speranza, semplice, cantata con passione, senza grandi fronzoli, celebrata come la continuazione della vita di tutti, ma per portare tutti a Dio. È così vorremmo che continuasse.

Il giorno dopo, il 15 novembre, la visita al Santuario della Madonna Aparecida dove abbiamo consacrato anche a lei le nostre vite, la nostra unica messa della vita e dove abbiamo incontrato dom Angelico, anche lui vescovo buono, sempre vicino ai poveri, l’ultimo regalo, l’ultima carezza. Maria che ci ha sempre accompagnati – come “Consolata”, come piccolissima, ma allo stesso tempo maestosa Aparecida, amata dal Brasile intero, e poi come nuova e “promettente” Madre dei Giovani… – e sempre ci aiuterà perché conosce i nostri cuori di persone che si vogliono bene.

Lorenzo Nacheli


Foto della prima messa celebrata all'Arsenale della Speranza di S.Paolo del Brasile il 14 novembre 2015

Foto di José Luiz Altieri Campos e Fábio José Pereira Lima
 
 

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