Le scarpe di Eduardo

Pubblicato il 21-01-2021

di Simone Bernardi

È domenica. Mi chiamano dalla portineria. «C’è Eduardo che è venuto a portare una donazione di scarpe». Eduardo ha 16 anni,conosce l’Arsenale della Speranza dall’inizio dello scorso anno. La mamma, preoccupata per le troppe ore che trascorre al cellulare, ha optato per una terapia d’urto: stanarlo dal divano di casa e, seppur per poche ore la settimana, metterlo davanti alla realtà di chi una casa non ce l’ha.

Eduardo è uno sveglio e con la stessa intelligenza con cui riesce a seguire 12 serie TV e a studiare con buoni risultati nel restante del tempo, si mette a nostra disposizione per aiutare gli ospiti nella biblioteca dell’Arsenale. Ma la pandemia ha spazzato via tutto e lo ha rimesso prepotentemente davanti ad uno schermo, anche più di dieci ore al giorno.Ricevere una chiamata interna ed ascoltare che “Edu” è in portineria ha il sapore del “ramoscello d’ulivo”: forse le acque del diluvio pandemico si stanno abbassando... Mi metto la mascherina e vado. Sono sette mesi che non vediamo i nostri volontari faccia a faccia, ma quando mi avvicino all’ingresso, capisco subito che la fine dell’apnea è ancora lontana. Eduardo è rimasto fuori. Dalla parte bassa del portone, scorgo l’immagine delle sue scarpe e, attorno, tanti altri piedi con gli infradito. Penso di sapere cosa sta succedendo. Affretto i miei passi e quando mi affaccio sulla strada ne ho la conferma: «Dammi un paio di scarpe. Fratello, anch’io ho bisogno di un paio di scarpe! Dammene un paio anche a me!» Altri si avvicinano...

Ho appena finito di celebrare la messa online della parrocchia, ognuno dalla propria casa, ma quella frase di Gesù: «i poveri li avete sempre con voi» (Mt 26, 11) non ha smesso di interpellarci nemmeno un minuto di questa lunga pandemia. Le conseguenze della disuguaglianza sociale, dell’indifferenza e di ogni altro tipo di ingiustizia sono sempre lì, evidenti e agglomerate davanti alla nostra porta.

Questa “chiesa” non è mai vuota. Appena tolta la stola, mi ritrovo improvvisamente a dover indossare la stellina da “sceriffo” in mezzo alla strada. Eduardo è venuto accompagnato dal papà (dal venerdi alla domenica sta da lui) che deve avergli consigliato di non entrare. Sapevo del suo scetticismo sul fatto che il figlio frequentasse una casa come questa. Saluto Eduardo – che è incerto sul da farsi – e lo ringrazio. Nonostante la mascherina, cerco di usare l’espressione più serena possibile, anche per dare un segnale al padre seduto in macchina, dietro i vetri scuri: io non lo vedevo, ma lui vedeva me e tutta la scena. Prendo il sacco di scarpe dalle mani di Eduardo con movimenti lenti e pacati, non per timore, ma perché tutti, anche gli spacciatori all’angolo della strada, possano leggere ogni gesto con calma: queste scarpe sono una donazione per l’Arsenale e faremo in modo che finiscano nei piedi di tutti, non solo dei più forti o insistenti.


A volte ci sono dei no da dire, magari senza dire nulla, ma vanno detti bene, con rispetto, cognizione di causa e con la compassione nel cuore, senza togliere la speranza, ma facendo in modo che si crei una mentalità di condivisione e rispetto anche tra chi chiede aiuto. Nel mondo ci sono scarpe per tutti, quelle erano tutte di Eduardo che oggi ha stanato il padre dal divano di casa per portarcele. Questo 2020 non è per nulla da buttare.


Simone Bernardi
NP novembre 2020

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