Senape, granelli e altri intoppi

Pubblicato il 16-06-2022

di Alberto Brigato

La scorsa settimana ho fatto la senape. Qui in Brasile abbiamo un vaso pieno di granelli di senape, immobile che mi guarda e mi stuzzica e, visto che non sono una persona che si fa pregare, ho deciso di farci qualcosa, di imparare una cosa nuova e soprattutto di sperimentarmi in cucina, in fondo si tratta solo di una salsa come le altre.

E invece no, la senape si porta dietro tutto un alone di mistero e curiosità, quella frase di Gesù lapidaria e allo stesso tempo incentivante – «se solo aveste fede come un granello di senape» – arricchisce questo granellino insignificante di un’aspettativa quasi religiosa e, sinceramente, anche un po’ di sana invidia. Lui, cosi piccolo che diventa il più grande delle piante dell’orto, diventa luogo dove costruire il nido, luogo dove riposare e far riposare.

Carico di questa aspettativa e dell’impazienza che mi contraddistingue, mangio un cucchiaino di questi semi, così come sono, secchi… ovviamente non sanno di nulla e uno mi si è infilato nei denti, tra i due ponti ed è rimasto incastrato, a dar fastidio per tutto il giorno. Dava fastidio ai denti in cui si era infilato, alla lingua che batteva sempre e a tutta la bocca che ne soffriva. Stava proprio lì, come mille altre cose della mia e nostra vita di fraternità, che piccolissime si infilano tra noi, nelle nostre relazioni, che si incagliano e non c’è spazzolino che possa toglierle.

Ricetta per la senape: mettere i grani a mollo nell’aceto e aspettare 12 ore

Io lo faccio e la mattina seguente questi erano esplosi, nel vero senso della parola, gonfi e traboccanti sono addirittura usciti dal vasetto e sparsi sul piano della cucina, sono tornati vivi e hanno ritrovato il loro vero sapore.

Credo sia così anche per i nostri granelli, non dobbiamo farci sanguinare le gengive a suon di scovolini: è in fondo la soluzione più facile. Dobbiamo immergerci nell’aceto, quello che cura le ferite, proprio perché le fa un po’ bruciare, quell’aceto che dà sapore alla nostra vita, alla nostra insalatina triste, che altrimenti non saprebbe di nulla. Aceto che ci risveglia, che fa rinvenire chi è svenuto, accentua i sensi, ci riporta a essere pieni, gonfi e traboccanti, ognuno singolarmente preso o insieme agli altri, aceto che ci ricorda chi eravamo prima di diventare secchi. E poi bisogna aspettare, nel silenzio di una, cento, mille volte, in cui vorresti fare la senape SUBITO; bisogna aspettare, come i discepoli nel cenacolo, nella preghiera che riempie e scioglie, accompagnati da Maria che consola e sicuramente cucina. Poi sale, zucchero, olio e frullare tutto.

Quel vasetto pieno di semi non era ancora senape, erano belli, gustosi, pieni di una nuova vita ritrovata, ma rimanevano semplicissimi semi. Bisogna tritare tutto, frullare, passare dalle lame, farsi tagliare e far uscire il succo. Far uscire il gusto della vita che abbiamo dentro, omogeneizzare il tutto con l’aiuto dell’olio, la nostra preghiera continua, la condivisione, gli accorgimenti umani che rendono la vita in fraternità piacevole, desiderosa di essere vissuta, che mi faccia bene e che mi faccia star bene con gli altri, perché l’ho scelta e la scelgo ogni giorno.

Io sono quel semino, scelgo di passare dal frullatore, non per masochismo, o perché aspiri al martirio, ma perché solo così ne esco e ne usciamo senape, dolce e salata allo stesso tempo, aspra e piccante, diventa l’unica mia vera vita possibile, usata per insaporire un po’ il tempo che abbiamo davanti, insieme.

Alberto Brigato

NP febbraio 2022

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