Foresta che cresce: aiutando, mi aiuto

Pubblicato il 12-07-2011

di Marco Vitale

Che senso ha pensare di aiutare gli altri, quando sono io ad avere bisogno di aiuto!? I 1150 ospiti dell’Arsenale della Speranza si mettono a disposizione per migliorare questa grande metropoli…

SAN PAOLO. Che senso ha pensare di aiutare gli altri, quando sono io ad avere bisogno di aiuto!? Devono aver pensato questo i 1150 ospiti accolti all'Arsenale della Speranza di San Paolo, quando la Fraternità del SERMIG ha iniziato a parlare della FORESTA CHE CRESCE e ad invitare ciascuno di loro a farne parte.

 

È nel DNA dell'Arsenale coinvolgere gli ospiti nelle attività promosse: nella storia di questa casa c'è un po' la storia, l'esperienza, l'abilità degli oltre 26mila uomini accolti in questi 11 anni. È normale che ogni giorno, a turno, un gruppo di loro dedichi del tempo e delle energie alla pulizia degli spazi comuni, al cambio delle lenzuola, al mantenimento delle aree verdi… ma la proposta della FORESTA CHE CRESCE va oltre, significa portare queste attività fuori dall'Arsenale, trasformare questa disponibilità in Azione di solidarietà a beneficio degli altri, della città!.

Il valore della "restituzione"- dare liberamente i nostri doni, il nostro tempo, i beni di cui ci serviamo ogni giorno, per servire dei fratelli - non può essere un privilegio di pochi, ma una forza comune a tutti. La FORESTA CHE CRESCE nasce anche da questo presupposto.

Che senso ha?
Seppur con quella domanda legittima - "Che senso ha?" - ancora in sospeso, circa 150 ospiti hanno accettato la sfida. La FORESTA CHE CRESCE, lanciata in tutto il Brasile, prevede che ogni gruppo promuova Azioni di solidarietà, partendo dalle necessità più urgenti della propria realtà. Anche i nostri ospiti - divisi in gruppi, ciascuno accompagnato da un operatore del Servizio Sociale interno - iniziano col fare una mappatura del quartiere: "Quali sono le cose che non vanno? Cosa ci piacerebbe cambiare? Dove potremmo intervenire?". Ne nasce un confronto animato ed emerge la consapevolezza che spesso sono i loro stessi atteggiamenti a degradare l'immagine del quartiere. Emblematico l'esempio di uno dei tanti depliant immobiliari che alcuni di loro distribuiscono ai semafori: nella piantina che ritrae la nostra via, l'Arsenale non compare, semplicemente non esiste.

"Noi vogliamo esistere" - è la reazione di tanti - dando un esempio di bene! -. Lo spirito della FORESTA CHE CRESCE sta proprio qui. Le riflessioni proseguono e si arriva così alla prima uscita...


Un giovedì mattina...
La partenza è fissata per le 8.00. Tre uomini, seduti vicino al portone principale, aspettano gli altri ragazzi del gruppo. Silvia, la nostra Assistente Sociale "giapponese", inizia a distribuire le magliette. Sul cotone bianco sono stampati un sole giallo e una "V" verde, che ricordano l'immagine di un bimbo che alza le braccia al cielo. È il segno che ci siamo dati. La maglietta indossata rende visibile chi, questa mattina, ha scelto di faticare (a gratis!) per aiutare qualcun'altro.

Silvia dà le ultime indicazioni: "Andremo in una scuola speciale, gli alunni sono bambini disabili con difficoltà motorie e comunicative". Tutti ascoltano. Prima di uscire due ragazzi prendono le Bandiere della Pace e tutto il gruppo si accoda. Scatto qualche foto: sarà uno dei miei compiti lungo la mattinata.

Traversiamo il quartiere Mooca. Siamo una macchia di colore che non passa inosservata... per qualche secondo catturiamo l'attenzione di chi ci incrocia rapido per andare al lavoro. Un uomo si ferma e ci chiede cosa stiamo facendo. Penso alle storie di ognuno di coloro che fanno parte del gruppo: storie incredibili, fatte di tragedie personali, di fatiche, di fallimenti. Attraversare quelle vie, vedere altri uomini seduti agli angoli delle strade, o stesi su divani di fortuna sotto i viadotti, è come attraversare un po' le loro vite: i nostri ospiti sanno bene cosa significa passare le giornate o le notti così. Alcuni ci avvicinano, ci riconoscono: l'uomo col carretto che vende dolci mostra orgoglioso la sua attività, ricordando il periodo trascorso in Arsenale.

Finalmente siamo davanti alla scuola, scatto una foto alla targa: "SCUOLA 4E". Il guardiano ci apre e siamo nell'atrio. Le vetrate sono protette da inferriate, ma è così in ogni casa della città: ognuno si deve difendere. Mentre aspettiamo la direttrice, il guardiano riconosce i colori delle bandiere e inizia a raccontarci che anche la sua vita è stata attraversata dalla fame, dalla strada... anche lui ringrazia l'Arsenale perché proprio lì ha ritrovato una via e oggi ha un lavoro. Racconta che per ottenere il lavoro dovette negare più volte di vivere in una casa d'accoglienza, fino a quando gli hanno dato fiducia, ma lui non dimentica.

La direttrice è una persona dolcissima. Saluta ognuno. Ci propone di farci visitare la scuola. Il gruppo si accoda e segue questa piccola donna per i lunghi corridoi. Una dopo l'altra, le porte si aprono e sbucano tante piccole teste, le mani piene di colori, gli occhi come punti interrogativi. Le insegnanti chiedono ai bimbi di farci un saluto e i nostri uomini, poco abituati, rispondono imbarazzati con qualche sorriso. Ogni porta apre un piccolo mondo: le aule di musicoterapia, di arteterapia, ecc. La direttrice mostra orgogliosa i lavoretti di fine anno: piccole borsette realizzate con i cartoni del latte dipinti dai ragazzi e poi i pupi di argilla.


Chi è povero?
Stracolmo di recipienti, pentole, tegami e scaffali di alluminio. La direttrice ci chiede di aiutarli a ripulire e riverniciare ogni cosa: la scuola ha bisogno di fondi e, per raccoglierli, venderanno questo materiale organizzando un bazar. Si comincia. Non servono molte parole per organizzare i lavori. Dopo pochi minuti tutti i lavandini sono già occupati da grosse pentole in bilico e i primi scaffali vengono passati con la carta vetro per poi essere verniciati.

 Ben presto, tra una pentola raccolta a terra, una spugna impregnata e un secchio di vernice si entra nel vivo, si crea una relazione, un'emozione, che iniziano a dare quel senso che tutti cerchiamo. Siamo fatti per dare qualcosa agli altri: la FORESTA inizia a prendere forma. Nel trambusto generale, scatto foto al bene che si sta creando. Una pausa per un sorso d'acqua e si ricomincia. All'ora di pranzo, le nostre magliette sono fradice, alcuni volti sono macchiati da schizzi di vernice. La direttrice ci accompagna alla mensa della scuola, dove gli alunni ci osservano con curiosità. Le insegnanti spiegano loro che siamo venuti per aiutare la scuola a diventare più bella!

Ci serviamo al bancone, i piatti faticano a contenere la razione di riso, fagioli, carne e patate. Iniziamo a mangiare, alcuni a testa bassa. I problemi e le disavventure di questi uomini, oggi si confrontano con dei bambini che invece non riescono a camminare, a parlare. Chi è più povero? Anche chi si pensa il più povero tra i poveri comincia a vedere la forza e le possibilità su cui può contare e che solo lui può decidere come usare. I problemi continuano ad essere problemi, da affrontare e da vivere, ma stiamo scoprendo una dimensione più grande che ci circonda e ci aiuta: aiutando, mi aiuto.


Come una squadra!
I bimbi continuano a guardarci e noi guardiamo loro. Il pollice rivolto verso il cielo - così caratteristico del Brasile - apre tante porte e ora sembra avere più senso. Scappa qualche sorriso, un bambino si avvicina e ci fa la domanda più logica che ci potesse fare: "potete giocare contro di noi a calcio?". Già, perché per lui noi siamo una squadra: abbiamo tutti la stessa maglietta, abbiamo addirittura le bandiere.

Dopo il bis di riso e carne, gli alunni tornano alle classi, non prima di averci salutato uno ad uno. Riprendiamo il lavoro e a fine della giornata il cortile è un tappeto di pentole che asciugano al sole e gli scaffali sono come nuovi. Scatto un'ultima foto a quel pezzetto di mondo che abbiamo contribuito a migliorare.

Poveri che aiutano altri poveri. È sufficiente perchè io, noi, che ci sentiamo privati di questa o quella cosa riusciamo a vedere la ricchezza, le potenzialità di cui ognuno dispone e di cui tanti altri hanno bisogno per sopravvivere? È sufficiente per commuovere e muovere il mondo? Non è difficile! Pensare di aiutare gli altri, quando sono io ad avere bisogno di aiuto, ha senso! Ora, la domanda è un'altra: "C'è qualcuno disposto ad ascoltare il rumore di questa FORESTA che cresce?".

L'ARSENALE DELLA SPERANZA
Quando un uomo viene accolto all'Arsenale vi entra col suo fardello, i suoi problemi, la sua storia, che quasi sempre è di grande sofferenza, emarginazione, solitudine. Tante disavventure che danno un'identità pesante: sai di essere l'ultimo, tutto te lo dice, e ci puoi fare l'abitudine! Ma la possibilità di riprendere fiato in un luogo sicuro, di trovare un po' di ristoro, qualcuno che ti accoglie senza giudicarti, può riaprire uno spiraglio di luce. L'Arsenale offre questo spiraglio, propone un metodo e, insieme, una severità che se accettati possono aiutare a ripartire da capo.

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