La stampa: Ernesto Olivero: “La pace non può essere solo uno slogan. È la verità la prima vittima della guerra”

Pubblicato il 23-02-2025

 

www.lastampa.it/cronaca/2025/02/23/news/olivero_pace_verita_vittima_guerra-15017831

 

Ernesto Olivero: “La pace non può essere solo uno slogan.
È la verità la prima vittima della guerra”

 

Il fondatore del Sermig di Torino: «Condivido totalmente la presa di posizione del presidente Mattarella. In nome di un’idea di grandezza sono stati mandati a morire giovani che non sapevano nemmeno perché»
 

Niccolò Zancan

23 Febbraio 2025

 

Ernesto Olivero, cosa ha pensato quando ha letto che Donald Trump per risolvere il conflitto fra israeliani e palestinesi pensa di trasformare la Striscia di Gaza in una riviera per turisti?
«Mi ha lasciato senza parole, perché questa idea è una violazione senza mezzi termini del diritto internazionale ed è contro la storia. Il trasferimento di popolazioni è uno degli abissi del secolo scorso che ci saremmo dovuti mettere alle spalle. Abisso politico, ma anche personale. Pensiamo a quanto dolore si porta dentro chi è costretto a lasciare per sempre la propria terra, una terra che in questo caso è intrisa di tanto sangue innocente. Non possiamo permetterlo!».

E l’Ucraina? Sembra arrivato il momento in cui molti scaricano Zelensky per fare accordi con Putin. Ma allora quella guerra, con tutti quei morti, a cosa è servita?
«Esiste una guerra giusta? Per chi crede nella pace è un dilemma. Di certo, la guerra in Ucraina non è nata dal nulla. C’è stato un aggressore e c’è stato un aggredito. Anche qui una violazione palese del Diritto. Non so cosa accadrà adesso, ma credo che la vera pace nasca dalla giustizia e dal perdono. Bisogna dare un nome alle responsabilità, farsi carico del dolore di milioni di famiglie, prevenire crisi future, ripristinare un sistema di regole. Se non avverrà questo, avremo fallito».

Persino il presidente Mattarella è sotto attacco della propaganda russa. È preoccupato di questa totale perdita del rispetto istituzionale?
«Una delle prime vittime della guerra è la verità. Non mi stupisce questa esasperazione da parte russa. Lo abbiamo già visto. È assurdo che si prenda di mira una delle persone più equilibrate e sagge che io conosca. Il Presidente è un uomo di pace. Condivido totalmente la sua presa di posizione: in nome di un’idea di grandezza, sono stati mandati a morire giovani che a volte non sapevano nemmeno il perché. Al posto di Putin mi farei un esame di coscienza».

Lei come sta? Come sta passando le sue giornate?
«Come dico sempre ai miei amici: mi meraviglio, ma bene. Nonostante la fatica, gli anni, l’incertezza di questo tempo. Ma di fondo sono sereno. Ho vissuto un tempo in cui prendevo 200 voli all’anno per fare incontri, missioni di pace, seguire progetti. Oggi non è più possibile, ma è tutto nel mio cuore assieme alla preghiera. Non ho mai vissuto nulla da solo e anche ora sono vicino ai miei amici che proseguono la strada intrapresa insieme».

Come definirebbe in una frase il tempo che stiamo vivendo?
«Uno dei più complicati della storia recente, ma questo è il nostro tempo. È nelle nostre mani e dobbiamo fare di tutto per prendercene cura».

I giovani stanno male. Sono sotto la pressione di aspettative altissime. Ma non c’è lavoro. Ci sono, invece, ansia, depressione e attacchi di panico. Come se ne esce?
«Risvegliando la speranza assopita. Le generazioni attuali forse sono più fragili di un tempo, ma ogni epoca ha le sue difficoltà. Dovremmo comunicare ai giovani che è possibile immaginare un futuro diverso. Perché è vero: esiste il buio, a volte è una tenebra. Ma chi ci impedisce di essere luce? Non mi do pace a pensare a tutti quei giovani che si buttano via, perdono tempo, accettano dipendenze infami. Quando invece basterebbe unire la forza degli ideali per cambiare le cose».

La domanda è brutale: avete fallito? Mi riferisco alla vostra generazione, quella dei figli della Seconda guerra mondiale. Sente questa responsabilità?
«Sì, abbiamo fallito. Abbiamo fatto credere ai ragazzi che quel che conta nella vita sono solo i soldi e il successo e che è normale un mondo in cui milioni di persone muoiono di fame, rimangono analfabete, non possono curarsi. Ma questa non è la normalità, non è il mondo sognato da Dio. Nella mia esperienza ho fatto di tutto per percorrere una strada diversa e comunicare agli altri la bellezza di farlo. Posso dire che non è stato inutile».

Qual è stato il momento di rottura?
«Il momento in cui l’io si è preso lo spazio del noi, come se non condividessimo più lo stesso destino. Da credente, dico anche che la rottura è avvenuta nel momento in cui abbiamo messo da parte Dio e in generale una visione spirituale della vita e delle cose. Anche chi non crede, ha bisogno di un oltre, un ideale per trasfigurare la realtà e costruire già adesso un mondo nuovo».

Il nome della sua creatura, “l’Arsenale della pace”, nata dopo il Sermig con l’aiuto di migliaia di volontari, è quanto mai attuale. È come se mancassero gli strumenti, e persino le armi della diplomazia, per cercare la pace. È così?
«Purtroppo, sì. Ma il problema è che la pace non può essere una semplice parola o uno slogan da urlare nelle piazze o nei salotti televisivi. O è un fatto, o non serve. O è una scelta di vita, o diventa un sentimento consolatorio. Anche l’Arsenale è nato così: nel 1983 era un rudere e servivano centinaia di miliardi di lire per rimetterlo a posto. È la gente che si è messa in gioco concretamente per trasformarlo, perché la pace richiede impegno e determinazione. Sulla carta abbiamo tutto: abbiamo le tragedie della storia come monito, gli ideali di grandi figure che possono illuminarci, il Diritto internazionale come strumento. Siamo disposti a lavorarci seriamente?».

Torino sembra una città smarrita, con le periferie sempre più povere e il centro sempre più esclusivo. Lei come vede quella che una volta veniva chiamata la città dei Santi Sociali?
«Torino è una città che non ha ancora superato la crisi dell’auto. Una città invecchiata che a volte fa fatica a guardare avanti. Al tempo stesso, conosco una Torino buona che mi commuove, un fiume di solidarietà che continua ad animare tanta speranza, giovani e adulti pronti a togliersi il pane di bocca per gli altri. Questa Torino esiste e dobbiamo tenercela stretta».

I portici delle città italiane sono pieni di persone che dormono nei cartoni. Si sta perdendo il senso sociale?
«Facciamo fatica a metterci nei panni degli altri. O per indifferenza, oppure perché a volte siamo noi stessi ad avere problemi e quindi a chiuderci. Dovremmo accogliere la sfida dell’incontro, soprattutto con i poveri, che può allargare la mente e anche il cuore. A noi è successo anni fa quando un ragazzo di strada ci puntò il dito contro chiedendoci: “Voi parlate di pace, ma stanotte dove dormite?”. Le nostre accoglienze sono nate così. Questo per dire che ognuno deve fare la propria parte, dalle istituzioni in giù».

Se lei avesse 25 anni oggi, cosa farebbe?
«Farei di tutto per difendere i miei sogni. Il problema è che tanti giovani oggi non sono più capaci di sognare. Colpa nostra? Colpa loro? Non lo so. Ma il mondo cambia partendo da lì. Conosco giovani che lo fanno, che hanno scelto di combattere davvero per questo».

Può dire un suo rimpianto e un suo desiderio?
«Non ho rimpianti. Ci possono essere stati errori, cose che avrei potuto fare meglio, ma questa è la vita, l’umanità. Nulla va perso. Penso a mia moglie Maria che agli inizi del Sermig, pur non avendo tutto chiaro, mi seguì con fiducia, ai miei amici di ieri e di oggi e a chi ha creduto al sogno dei nostri vent’anni. È lo stesso desiderio di oggi: la pace concreta che passa da me, da te, da tutti noi. Basta un pugno di persone che ci credono veramente per realizzarla. Io l’ho vista!».
 

Niccolò Zancan
www.lastampa.it/cronaca/2025/02/23/news/olivero_pace_verita_vittima_guerra-15017831

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok